Il tempo e le rivoluzioni: l'Iran a quarant'anni dalla rivoluzione islamica

Data evento: 
Da  14/03/201914/03/2019

Giovedì 14 marzo 2019, alle ore 18.30, presso la Sala Conferenze dell’ex Ospedale Militare, in via Fabio Severo 40, a Trieste, avrà luogo una conferenza di Riccardo Redaelli, Direttore del Master in Middle Eastern Studies (MIMES) dell’Università Cattolica del S. Cuore, Milano, dal titolo:

Il tempo e le rivoluzioni: l'Iran a quarant'anni dalla rivoluzione islamica"

La conferenza è organizzata dal Collegio Universitario Luciano Fonda di Trieste.

La via più lunga del Medio Oriente (e una delle più estese nel mondo) taglia Teheran da nord a sud per più di 17 chilometri e si chiama Vali Asr. Una strada che, se percorsa con attenzione, racconta anche molto dell’Iran di oggi e delle sue complesse dinamiche socio-politiche. Il significato del suo nome in persiano è “il Signore del Tempo”. Ossia, uno degli attributi del dodicesimo imam, l’imam nascosto che tornerà alla fine dei tempi (il Mahdi). Il tempo è quindi un elemento imprescindibile della dottrina sciita, in particolare nei suoi aspetti millenaristici e esoterici, che si lega curiosamente a un sentimento ipernazionalista che trova linfa proprio nello sguardo lungo verso il passato.

L’idea del ritorno del Mahdi, di un’utopia che affonda le sue radici nel passato, si lega oggi alla percezione di una sorta di “sospensione” del divenire storico, che fa galleggiare il sistema di potere post rivoluzionario iraniano (il nezam) – così articolato e diviso al suo interno - in una strana bolla atemporale. Un limbo fatto

di retoriche sclerotizzate in cui neppure l’élite di potere sembra credere più, ma che non possono essere abbandonate, di promesse non mantenute quando non completamente tradite e in una eccezionalità geopolitica della Repubblica islamica dell’Iran che la mantiene ai margini del sistema delle relazioni internazionali e che ha acuito, in questi ultimi anni, l’ostilità regionale nei suoi confronti.

Prigioniera di questa bolla rimane innanzitutto la popolazione iraniana, paradossalmente una delle più secolarizzate e vicine all’Occidente (come ha scritto Hamid Dabashi: “…philosophically intimate with it”) di tutto il Medio Oriente, le cui aspettative di normalità quotidiana e di integrazione internazionale appaiono sempre più frustrate.

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