
Eszter Rónaky
Ungaretti critico di Petrarca
Nella storia della critica petrarchesca del Novecento la
lezione di Ungaretti ha un posto del tutto
particolare, per vari motivi. Quello piú evidente è che è sempre un caso
particolare quando è un poeta, con la sua sensibilità ed esperienza creativa, a
fare una lettura e a fornirci preziosi suggerimenti su un altro testo poetico.
Nel caso di Ungaretti però si tratta di piú: la
presenza di Petrarca nell’intera opera e, se si vuole, nella vita stessa di
Ungaretti è veramente decisiva, cosí come decisivo è anche l’influsso del poeta
trecentesco sulla sua opera. La poesia di Petrarca infatti
diventa un elemento fisso non soltanto nei saggi e nei vari interventi di
Ungaretti in diverse occasioni, ma anche delle sue lezioni, che il poeta tenne
in Brasile, all’Università di San Paolo e, piú tardi, a Roma, a «La Sapienza».
Gli anni brasiliani, cioè il periodo che va dal 1937
al 1942 sono infatti fondamentali perché in quegli anni Ungaretti si avvicina
molto all’opera di Petrarca (e questo particolare interesse in parte nasce,
come affermano molti biografi di Ungaretti, da alcuni dolorosi eventi della sua
vita, dalla perdita di suo figlio e di suo fratello). Infatti, gli anni
brasiliani sono molti “fecondi” per il nostro e, esaminando le tematiche dei suoi corsi e seminari sulla letteratura
italiana si vede chiaramente che l’attenzione di Ungaretti poeta‑professore
è tutta concentrata sui classici della letteratura italiana, a partire dagli
autori della letteratura delle origini per arrivare a Leopardi, Manzoni e Foscolo. Ma il nome che ricorre piú
frequentemente nel testo delle sue lezioni è quello di
Petrarca e i temi che approfondisce in Brasile e i risultati delle sue
riflessioni diventeranno, piú avanti nel tempo, temi fissi, costanti sia della
sua poesia (Il dolore, la Terra Promessa) che nella serie di
corsi tenuti negli anni successivi a Roma, dedicati invece fondamentalmente
alla poesia di Leopardi.
Nella mia relazione cercherò di individuare le principali tematiche delle riflessioni di Ungaretti su Petrarca, poeta
che egli ritiene «poeta puro» e «l’inventore del tempo». Infatti
il titolo del volume uscito presso Mondadori (nei
Meridiani), che riunisce i testi delle sue lezioni brasiliane, Invenzione
della poesia moderna. Lezioni brasiliane di letteratura (1937-1942),
riflette bene l’idea principale di Ungaretti che Petrarca sia un «poeta
moderno» in quanto con lui nella poesia europea si apre un nuovo capitolo,
considerando l’interpretazione del tempo del tutto nuova di Petrarca.
In senso generale Ungaretti definisce “moderni” i poeti che «[...] hanno avuto qualche cosa di
nuovo da dire, interpretando i loro tempi».
Con l’opera petrarchesca avviene, secondo Ungaretti, «la prima invenzione della
poesia moderna». La novità (e, di conseguenza, la modernità) di Petrarca sta
proprio nella maniera con cui Petrarca interpreta i suoi tempi. E sarà appunto questo elemento a ricollegarlo alla poesia di Leopardi e
alle idee stesse di Leopardi attorno al tempo, al rapporto dialettico fra
l’antico e il moderno, l’individuale e il collettivo, fra il singolo e la
tradizione. La lettura di Petrarca è infatti una
fondamentale premessa a tutta la poesia successiva, e lo è in modo particolare
all’opera di Leopardi. (Infatti, leggendo le pagine di Ungaretti
dedicate allo studio delle opere di questi due autori, il lettore diventa
spesso testimone di una sorta di duplice “rispecchiamento”:
Petrarca in Leopardi, e Leopardi in Ungaretti.) La base o il punto forte di
questa immedesimazione (umana, in quanto psicologica e, in senso generale,
letteraria) sostanzialmente è il rapporto che lega Petrarca (e Leopardi e
Ungaretti) agli antichi. E non solo agli autori
antichi. Anche a loro, naturalmente: Virgilio, Erodoto,
Tacito, Eschilo, Seneca, Platone, Agostino indicano
tutti per Petrarca quell’“antico
sapere” che rappresenta l’idea di perfezione, qualcosa che sta andando
oscurandosi nel tempo che passa in modo inafferrabile, e in questo senso si era
creata una distanza che Petrarca sente enorme e troppo pesante fra i suoi tempi
e quelli dei suoi autori amati.
Ungaretti riconduce la poesia petrarchesca ad uno stato
psicologico particolare, e parla del dramma esistenziale dell’uomo Petrarca,
dramma dovuto, secondo Ungaretti, ad una precisa situazione storica che ha
ovviamente determinato il linguaggio poetico di Petrarca. Ungaretti analizza a
lungo quello che oggi potremmo definire il contesto
storico, la situazione linguistica sulla penisola del Due e del Trecento. Ma le
sue analisi “storico‑culturali” sono tutte atte a capire in che modo
certi eventi della civiltà abbiano determinato il
linguaggio poetico e lo stato psicologico espresso nelle opere di Petrarca.
Le rovine che affollano il testo, il rimpianto, il dolore
espressi nelle poesie di Petrarca sono in buona parte
riconducibili a quella realtà mista in cui Petrarca viveva. Vi è nei suoi testi
il rimpianto di un universo assente, universo a cui nella mente si legano i
valori platonici del bene, del bello e del buono, ma che l’io percepisce incessantemente perduto. E
perduto definitivamente. Quel mondo “bello”, rappresentato dal mondo antico,
dal sapere antico, non è in alcun modo presente se non in forme di frammenti.
Frammenti, rovine disperse ovunque (e ricordiamoci che le rovine saranno
un’esperienza fondamentale anche per Ungaretti nei suoi numerosissimi viaggi, e
che egli torna a parlarne costantemente), il dolore di Petrarca provato per la
coscienza dolorosa che col passar del tempo quelle belle forme vengono mutilate, in quanto sono esse stesse, le parole
stesse degli antichi sono non altro che “corpi viventi”. E
i corpi viventi invecchiano, sono mortali: invecchiano e muoiono e il loro
ricordo nella mente umana diventa sempre piú lontano, adombrato dalle tenebre
dell’oblio. Non a caso il saggio piú importante di Ungaretti
su Petrarca s’intitola Il poeta dell’oblio. Titolo strano, questo, se si
considera il fatto che Ungaretti insiste molto sul
valore e sulla funzione della memoria e del ricordo in Petrarca. Poeta
dell’oblio o poeta del ricordo, Petrarca? Entrambi, dal momento che anche
l’oblio fa parte della memoria, e questo diventa uno degli insegnamenti piú
importanti di Petrarca. Per Leopardi e Ungaretti tale insegnamento assume un
valore particolarmente forte.
A differenza di Dante, poeta e uomo medievale, in Petrarca
l’uomo si sente esiliato non piú dal cielo, ma dal passato.
L’aspetto piú importante della differenza fra il mondo poetico dantesco e quello petrarchesco deriva, secondo Ungaretti, da una
diversa concezione del tempo. In Dante si ha l’idea del tempo eterno legato
alle idee platoniche del bello e della perfezione, manifestato dal e nel
divino, garante d’immortalità. Petrarca guarda fisso, dolorosamente nel
passato, sapendo che esso è perduto per sempre ma con la coscienza trionfante
che le belle forme del passato in qualche modo possono diventare immortali
tramite la memoria e tramite la fantasia che le fanno
risorgere. In questo senso Ungaretti parla dell’Umanesimo di Petrarca, ed ecco
perché la poesia di Petrarca è affollata da rovine, sí, ma quelle rovine poi ad
un certo punto si trasformano sempre, o nascondono persone, persone morte che
diventano viventi, che parlano al poeta. Persone morte, ricordate vive, fantasmi che errano, vagabondano fra le rovine, fra i
frammenti di un’unità bella, perfetta, ma perduta e quindi assente. A quel
punto le rovine, i resti di quell’universo assente diventano oggetti del
desiderio dell’io, e avviene proprio per effetto del desiderio incolmabile di
recuperarli in qualche maniera che i “frammenti” stessi diventano «eccitamenti
per la fantasia», «stimolatori di vita» e le loro voci «seducono» chi le sa
ascoltare. È quindi tramite la memoria e la fantasia che (se non è dato nella
realtà) almeno nel linguaggio poetico si riesce a rievocare, rendere immortale
quel mondo assente.
Il diverso concetto del tempo determina anche la produzione di
due immagini femminili cosí diverse, Beatrice e Laura, «messaggiera
d’eterno» la prima, e figura costantemente legata al passato, alla sfera della
memoria la seconda, da cui l’io, analogamente all’idea cristiana dell’esilio
dell’uomo dall’Eden, si sente esiliato. È evidente l’immedesimazione di Ungaretti con queste idee petrarchesche, con l’idea che
la parola poetica debba rievocare un mondo assente da cui l’uomo si sente
staccato e tale immedesimazione è cosí forte che Ungaretti nelle sue lezioni su
Petrarca, parlando del poeta in terza persona singolare, certe volte cambia
persona grammaticale in modo del tutto inaspettato e continua a parlare in
prima persona.
Ma spesso si sente che Ungaretti si è del tutto immedesimato
con Petrarca anche laddove egli analizza alcuni sonetti petrarcheschi, fra cui
spunta l’analisi del sonetto XVIII, in cui lo studio delle rime equivoche e
delle varie interpretazioni precedenti a Ungaretti,
apre la strada ad una riflessione piú profonda sulla percezione del tempo in
Petrarca. Infatti, dopo i primi due versi della prima
quartina, atti a descrivere la figura di Laura, la sua immagine del tempo
presente, arrivati al terzo verso, in un batter d’occhio, «per un semplice moto
verbale» («e m’è rimasa nel pensier
la luce»), quell’idea di bellezza assoluta,
quell’oggetto del desiderio diventa immediatamente e definitivamente perduto.
La stessa immedesimazione avviene da parte di
Ungaretti anche nei confronti di Leopardi, il cui linguaggio poetico
rappresenta diversi temi analoghi a quelli petrarcheschi, ma che riprendendo le
idee di Petrarca sulla lingua (che, come ogni altro corpo, invecchia, e che
deve rimandare ad un universo assente) e le idee del poeta trecentesco
sull’oggetto assente del desiderio, sulle rovine‑frammenti di un’unità,
tuttavia percepisce diversamente l’idea del tempo. Mentre
in Petrarca abbiamo il rimpianto, la «contemplazione passiva, statica» delle
belle forme assenti del passato, in Leopardi vi è una sorta di percezione
dinamica del mondo assente.
La memoria per Leopardi serve a rievocare un mondo lontano,
quello degli antichi, a cui egli mescola «il mito della gioventú, e del popolo»,
che considera il tempo della «gioventú delle umane società», il tempo
dell’innocenza. Dunque anche Leopardi sente la distanza che lo separa dal tempo
degli antichi, ma, a differenza di Petrarca, egli non ha piú quella fede
perenne di Petrarca nella memoria a cui abbiamo
accennato prima. Non può avere quella stessa fede di Petrarca nella perfezione
di una civiltà, rievocata tramite la memoria, dal momento che è cosciente del
fatto che quella civiltà cosí desiderata non potrà mai piú tornare perché il
poeta sa che tutto deve perire e che la civiltà stessa invecchia. Per tutto ciò
l’infelicità umana non può che accrescere.
Leopardi sente dunque il tempo nella sua durata e questo
provoca in lui da una parte «l’ossessione della morte» e dall’altra parte,
strettamente legato al sentimento del perire, il sentimento del tempo rafforza
in lui l’idea de «la necessità di ringiovanimento del mondo umano».
Come farlo? Il poeta deve riproporsi di rievocare, di
recuperare l’infanzia e l’innocenza del mondo.
Innocenza e memoria (anche come titolo di un importante
intervento di Ungaretti),
memoria‑oblio, luce‑buio, moderno‑antico, assenza‑presenza,
oggetto desiderato‑oggetto definitivamente perduto: queste sono quindi le
principali tematiche attorno alle quali si organizza il pensiero critico di
Ungaretti su Petrarca, tematiche che sono fortemente presenti anche nella sua
poesia.