Etica & Politica/ Ethics & Politics, 2006, 1

http://www.units.it/etica/2006_1/PINO.htm

 

 

 

Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali.

Una mappa dei problemi (*)

 

Giorgio Pino

Dipartimento di studi su politica, diritto e società “Gaetano Mosca”

Università di Palermo

 

 

Abstract

 

In the current jurisprudential debate, the issue of conflicts of rights is a widely debated one. The present essay aims at clarifying the main aspects of this ongoing debate, along the following lines: firstly, an historical account of the problem of balancing conflicting rights will be given, with an eye both to the American recent experience and to the Italian one. Secondly, it will be discussed whether and under what circumstances rights can conflict. Thirdly, after having acknowledged that conflicts of rights are in fact unavoidable, it will be necessary to examine the main technique of solving those conflicts: namely, the “weighing and balancing” technique. The main suggestion that is intended to follow from the whole discussion is that the technique of balancing involves for sure a certain (sometimes, considerable) degree of interpretive discretion, but nonetheless – at least under some circumstances -- it is not necessarily incompatible with legal certainty and predictability of legal decisions.

 

 

L’universo giuridico è l’universo del press’a poco e del per lo più

(N. Bobbio, 1995)

 

 

Metaphors in law are to be narrowly watched,

for starting as devices to liberate thought, they end often by enslaving it

(B. Cardozo, 1926)

 

 

1. Introduzione

 

Da più di un decennio a questa parte, anche i giuristi e teorici del diritto italiani hanno preso familiarità con la problematica del bilanciamento giudiziale di diritti, principi o interessi costituzionali. (1)

“Anche”, perché la tecnica argomentativa giudiziale del bilanciamento era conosciuta e discussa già da qualche tempo in altre culture giuridiche europee, come quella tedesca, e può vantare una storia addirittura quasi centenaria nella cultura giuridica nordamericana. Inoltre, come vedremo brevemente, la tematica del bilanciamento si era già da qualche tempo affacciata all’attenzione dei giuristi italiani, ma in campi non immediatamente confinanti con la tematica dei principi costituzionali o dei diritti fondamentali.

Come è ormai noto, per bilanciamento o ponderazione (2) si intende una tecnica argomentativa il cui uso si rende necessario allorché la questione da decidere non sia o non sembri direttamente regolata da una norma giuridica univoca e precisa, e anzi sembri parimenti sussumibile contemporaneamente sotto due o più norme: in altre parole, quando la premessa maggiore del sillogismo giudiziale non contiene (o meglio, non contiene ancora) una regola precisa e univoca da applicare in maniera sussuntiva al caso.

In simili casi, il giudice ha davanti a sé una pluralità di norme tutte valide e rilevanti per il caso da decidere, ovvero, guardando la stessa situazione da una prospettiva diversa, una pluralità di interessi tutti giuridicamente rilevanti. Nell’assenza di un criterio giuridico chiaro e predeterminato che assegni prevalenza in via generale e astratta ad una delle due norme o interessi in conflitto, il giudice dovrà scegliere quale norma o interesse ritenere “più” rilevante nel caso concreto, e quindi prevalente rispetto agli altri o anche, se possibile, cercare un contemperamento (un bilanciamento appunto) tra le norme o interessi in conflitto.

Tipicamente, come vedremo a suo luogo, le circostanze appena descritte si verificano quando il concorso conflittuale riguarda norme che hanno (cui è attribuita) la qualificazione di principi, e specialmente principi “fondamentali”, che esprimono diritti a loro volta fondamentali. Di conseguenza, dunque, la tecnica del bilanciamento è ampiamente usata soprattutto dalle corti che “maneggiano” con maggior frequenza diritti e principi fondamentali: corti costituzionali in primo luogo, ma anche corti ordinarie nella misura in cui anche ad esse sia demandato (“formalmente”, o per convenzione diffusa e accettata nella cultura giuridica) un controllo di costituzionalità o l’applicazione diretta di diritti e principi costituzionali.

Il successo del bilanciamento, sia nelle pratiche dei giuristi sia nei dibattiti teorici, può essere spiegato con la sua natura bifronte, con la sua aspirazione a riempire lo spazio vuoto che separa le due anime del diritto, le due aspirazioni del giurista: quella sapienziale, (3) se non addirittura “buonista”, che vorrebbe ancorare la decisione giuridica all’apprezzamento quasi equitativo delle esigenze che emergono nel caso concreto, soppesando volta per volte le ragioni e i torti; e quella formalistica, se non legalistica, che aspira alla certezza del diritto e alla prevedibilità delle decisioni giudiziali adottate sulla base di norme generali e astratte.

Ecco quindi che il bilanciamento, apparentemente incompatibile con la razionalità deduttiva propria del sillogismo giudiziale, cerca la sua legittimazione in altre forme di razionalità “sostanziale” (la ricerca di un ordine oggettivo di valori), o in forme di razionalità scientifica o aritmetica che assicurino la misurabilità e la non arbitrarietà delle scelte di volta in volta adottate.

Mi propongo di tracciare una mappa dei principali problemi teorici sollevati dalla pratica del bilanciamento giudiziale tra diritti fondamentali. Una mappa non è una adiafora rilevazione di una porzione di territorio, ma l’indicazione di un punto di partenza, di possibili punti di arrivo, e una selezione di ciò che si può trovare nel tragitto. Certamente ciò che una mappa può mostrare è che tra diversi percorsi astrattamente praticabili, alcuni sono più agevoli e lineari di altri, mentre altri percorsi possono condurre a terreni impervi e mal frequentati (hic sunt leones!), o a vicoli ciechi.

L’impostazione di questo saggio è tradizionale: esaminerò il contesto storico e culturale che ha visto nascere e diffondersi la tecnica del bilanciamento nella giurisprudenza nordamericana, e i fattori che ne hanno poi determinato la diffusione anche in ordinamenti europei continentali, e in particolare nella cultura giuridica italiana (§ 2.). Prenderò in considerazione il presupposto della tecnica del bilanciamento, ossia una situazione di conflitto tra diritti fondamentali (§ 3.), e quindi vedremo la tecnica del bilanciamento in azione (§ 4.); intendo mostrare che il bilanciamento non è necessariamente una operazione guidata da soggettivi e imperscrutabili giudizi di valore degli interpreti. Infine proverò a suggerire qualche lezione che la vicenda del bilanciamento può offrire per la teoria dei diritti e del ragionamento giuridico (§ 5.).

Il lettore non particolarmente affascinato da sintetiche ricostruzioni di capitoli di storia della cultura giuridica potrà agevolmente iniziare il percorso dal § 3. Non saranno inoltre affrontate, o lo saranno solo marginalmente, alcune complesse questioni che incidono in maniera più o meno diretta sulla tematica del conflitto e del bilanciamento tra diritti, ad esempio nell’ambito della logica deontica, della giustificazione razionale e del ragionamento pratico, (4) e delle teorie del diritto soggettivo e dei diritti fondamentali. L’esame dettagliato di ciascuna di queste problematiche richiederebbe altrettanti saggi.

Non so se un’indagine teorica debba essere in grado di fornire soluzioni a tutti i problemi di cui si occupa: di certo il suo compito è quello di chiarire la loro vera natura e, quando possibile, di dissolverli. A volte una indagine teorica può anche mostrare che un certo problema non ha, semplicemente, soluzione, o comunque che l’insorgere di un certo tipo di problema sia inevitabile.

 

 

2. Lo sfondo culturale

 

2.1. Negli Stati Uniti

 

Concepire la decisione giudiziale come un bilanciamento, una ponderazione, una attenta valutazione degli interessi in gioco è una costante di molti orientamenti culturali variamente antiformalisti e “sociologici”, che prescrivono agli interpreti di ragionare non sulla base di astratte norme o concetti giuridici, ma sulla base di concreti interessi, da valutare – ed eventualmente ponderare – nel caso concreto.(5) La più diretta genealogia del bilanciamento (tra interessi, tra diritti, tra diritti e interessi) come tecnica di decisione di controversie giudiziali si ritrova comunque nella cultura giuridica statunitense all’inizio del secolo scorso, sotto l’influenza culturale del realismo giuridico. Il realismo giuridico americano concepisce il giurista come uno scienziato sociale o meglio ancora come un ingegnere sociale, che censisce gli interessi presenti nella società, ne individua i conflitti, e ne propone schemi di composizione. (6)

Negli anni ’30 e ’40 del XX secolo il modello di giurista “tecnologico” e pragmatico proposto dal realismo giuridico comincia a fare breccia in una cultura giuridica complessivamente insoddisfatta dell’apparato logico e concettuale ereditato dal formalismo concettualistico, e penetra anche nel modo di ragionare dei giudici della Corte suprema. Le ragioni dell’attrattiva del nuovo schema di ragionamento erano evidenti. In un periodo storico di veloci mutamenti sociali, la nuova metodologia argomentativa favoriva l’adattamento del diritto a situazioni nuove e difficilmente amministrabili nell’ambito di una rete asfittica di concetti giuridici cristallizzati dalla tradizione: il ricorso al bilanciamento avrebbe consentito di evitare gli schematismi e le inefficienze imposti dalla logica tranchant dettata dalla concezione dei principi costituzionali come “assoluti”; il giurista avrebbe potuto abbandonare uno stile decisionale meccanico e deduttivo in favore di una accurata (ed elastica) ricognizione e valutazione degli interessi sociali in gioco. (7)

Naturalmente, l’adozione di questa nuova metodologia di argomentazione prestava il fianco ad un sospetto (che accompagnerà sempre l’idea di bilanciamento): consegnare il testo costituzionale nelle mani dei giudici costituzionali, renderlo infinitamente manipolabile e malleabile in nome di bilanciamenti operati volta per volta, con la conseguenza di relativizzare e magari svuotare, alla luce di imperscrutabili opzioni valutative, diritti fondamentali che nel testo costituzionale erano stati fraseggiati in termini assoluti.

Come risposta o antidoto ai sospetti di arbitrio decisionale che da subito hanno circondato la ponderazione, è stato spesso esibito un approccio ingenuamente “quantitativo”, secondo cui gli interessi potevano essere presi in considerazione e soppesati da parte del giudice con una metodologia quasi descrittiva e quantitativa, da scienziato sociale, aliena da ogni soggettivo giudizio di valore. (8)

Nell’ambito della cultura giuridica nordamericana, le critiche più aspre contro il ricorso al bilanciamento da parte della Corte suprema hanno avuto in primo luogo carattere politico, legate all’uso politicamente reazionario che di questa tecnica è stato fatto dalla Corte suprema negli anni ’50 e ’60, nell’epoca del c.d. “maccartismo”. In tale fase infatti la tecnica del bilanciamento è stata usata dalla Corte suprema come un grimaldello per scalfire la formulazione in termini assoluti della protezione della libertà di parola nel First Amendment, e favorire così limitazioni della libertà di espressione di individui o gruppi con idee politicamente minoritarie, in favore della protezione di (supposti preminenti) interessi governativi. (9)

Da qui la diffidenza che ha a lungo allignato nei giuristi liberal verso un disinvolto ricorso giudiziale alla tecnica argomentativa del bilanciamento. In effetti, buona parte del dibattito statunitense sul bilanciamento negli anni ’60 può essere ricostruita come l’attacco, da parte di alcuni, alla logica (o meglio alla retorica) del bilanciamento, denunciandone i costi in termini di erosione della protezione delle libertà fondamentali, cui si è contrapposto il tentativo, da parte di altri, di affrancare la tecnica del bilanciamento da un passato odioso, in particolare liberandola dal suo inquietante tratto “caso per caso” (ad hoc) e rendendola maggiormente principled. (10)

È stata questa seconda operazione ad avere successo. Dalla fine degli anni ’60 in poi, il bilanciamento è diventato la tecnica principale e dominante nell’interpretazione costituzionale, tanto da indurre a ripensare l’intero diritto costituzionale alla luce del bilanciamento. (11) Inoltre con il passare del tempo e l’estensione del bilanciamento ad aree diverse da quella del free speech, i giuristi liberal si sono accorti che la tecnica del bilanciamento possa essere impiegata non solo per limitare i diritti espressamente statuiti nel testo costituzionale, ma anche per aprire nuovi spazi ad altri diritti, dissolvendo così l’aura politicamente conservatrice se non reazionaria che l’aveva dapprima circondata. (12) Dal diritto costituzionale, la tecnica del bilanciamento si è poi diffusa a molte altre (se non tutte) aree del diritto. (13)

 

 

2.2. In Italia

 

2.2.1. La fase “pre-costituzionalizzata”

 

Nella cultura giuridica italiana, l’idea che in certi settori fosse opportuno o anche inevitabile effettuare un qualche tipo di bilanciamento o ponderazione giudiziale era diffusa ben prima della recente esplosione costituzionalistica. Si possono individuare almeno cinque aree in cui la tecnica del bilanciamento è stata diffusamente discussa e applicata a partire all’incirca dagli anni ’60 del secolo scorso: si tratta di aree di estremo rilievo, di rilievo addirittura strategico, appartenenti a settori disciplinari diversi.

La prima area è la responsabilità civile. Secondo una affermazione che è ormai patrimonio comune dei civilisti, «il problema dell’illecito civile consiste principalmente […] nella valutazione comparativa di due interessi contrapposti: l’interesse altrui minacciato da un certo tipo di condotta da un lato, e dall’altro l’interesse che l’agente con quella condotta realizza o tende a realizzare». (14) In alcuni casi, il conflitto tra gli interessi sarà stato regolato in via generale e astratta dal legislatore, e allora il giudice dovrà solo applicare la regola al caso concreto; in altri casi, dovrà essere il giudice a effettuare la comparazione degli interessi in conflitto, tenendo conto della natura delle attività coinvolte e delle loro conseguenze tipiche, e ispirandosi in ultima analisi a criteri di pubblica utilità.

La seconda area è rappresentata dalla disciplina delle immissioni nell’ambito del diritto di proprietà. Il codice civile italiano (art. 844), come altri codici europei, prevede che il proprietario di un fondo possa reagire contro le immissioni di fumo, calore, rumori ecc., provenienti da altro fondo, solo se queste superano la “normale tollerabilità”; inoltre, nel valutare la ricorrenza del requisito della normale tollerabilità, il giudice dovrà anche contemperare le esigenze della produzione con quelle della proprietà. Questa disposizione viene solitamente interpretata come una delega al giudice a compiere una valutazione in termini di bilanciamento degli interessi in gioco. (15)

La terza area è la materia delle cause di giustificazione (le c.d. discriminanti) in diritto penale. Secondo alcune teorie circolanti nella penalistica italiana, su influenza della penalistica tedesca, la logica sottostante la materia delle cause di giustificazione (e in particolare la legittima difesa, lo stato di necessità, e in parte il consenso dell’avente diritto) sarebbe proprio quella di un bilanciamento, da effettuarsi caso per caso, in concreto, e quindi in sede giudiziale, tra il bene aggredito e il bene che giustifica la condotta lesiva. (16)

La quarta area è quella del corretto esercizio della discrezionalità amministrativa. Secondo un modo di vedere alquanto diffuso, la pubblica amministrazione nell’esercizio del suo potere discrezionale non può fare a meno di prendere in considerazione tutti gli interessi rilevanti (non solo l’interesse pubblico, ma anche gli eventuali interessi privati concorrenti), per poi operarne una «ponderazione comparativa». (17) Questo è un compito dell’autorità amministrativa, ma evidentemente si riflette sulla verifica che il giudice amministrativo può essere chiamato a compiere sulla ricorrenza di figure sintomatiche di eccesso di potere. (18) La quinta area non appartiene a settori specifici del diritto positivo, ma alla teoria generale dell’interpretazione, e si tratta della metodologia con cui effettuare la ricerca della ratio legis da parte degli interpreti (il c.d. argomento teleologico). A questo proposito è stato sostenuto in particolare che, poiché la norma giuridica è frutto di una ponderazione di interessi in conflitto, il compito dell’interprete consiste nel ricostruire – in maniera fedele e scevra da considerazioni personali e arbitrarie – la «valutazione comparativa degli interessi in gioco» operata dal legislatore. (19)

Quindi l’esigenza che in alcune aree il giurista-interprete sia chiamato ad operare bilanciamenti, e non ad applicare semplicemente e meccanicamente regole, era già ben presente da tempo e in una cultura giuridica, quale quella italiana, non di rado votata al più esasperato formalismo e concettualismo.

È da notare comunque che l’utilizzo della tecnica del bilanciamento in queste aree potrebbe essere etichettato ancora come “precostituzionale”: il bilanciamento è applicato a “interessi”, o “beni”, a cui è certamente riconosciuta una generica natura o comunque rilevanza giuridica, ma per i quali altrettanto certamente non si avverte l’esigenza di un radicamento costituzionale. Semplicemente, in questo periodo non era avvertita l’idea che i beni o gli interessi in conflitto potessero trovare copertura costituzionale, e che quindi il singolo conflitto da risolvere rimandasse il giurista ad una incompatibilità ancora più problematica e fondamentale. Significativo in tal senso che Pietro Trimarchi, (20) indicando più volte come esempio di interessi in conflitto la libertà di informazione e la tutela dell’onore e della riservatezza, non ne menzioni la possibile (e oggi considerata paradigmatica) rilevanza costituzionale. Vi erano alcune parziali eccezioni, certo, ma con il senno di poi queste eccezioni possono essere più propriamente considerate come le premesse del mutamento di paradigma avvenuto di lì a poco: avvisaglie che qualcosa stava per cambiare nell’aria che i giuristi respiravano quotidianamente, e allo stesso tempo fattori che in questo cambiamento hanno esercitato un’influenza determinante. (21)

 

 

2.2.2. La fase “costituzionalizzata”

 

E il cambiamento, che avrebbe investito gran parte della cultura giuridica italiana dagli anni ’70 in poi, è arrivato al seguito di un nuovo modo di intendere la costituzione.

Molto in sintesi, (22) la cultura giuridica di quegli anni è passata gradualmente da una concezione “liberale” e ottocentesca della costituzione come “limite”, ad una concezione della costituzione come “progetto”: le norme costituzionali non sono state più considerate (solo) come un baluardo a tutela di beni fondamentali e intangibili, ma come un insieme di principi capaci di penetrare in tutti i settori del diritto, e di rimodellare le categorie giuridiche ricevute. (23) In altre parole, il risultato cui tendere da parte dei giuristi doveva essere una sempre più completa “costituzionalizzazione” (24) dell’ordinamento e della cultura giuridica, e questo compito poteva e doveva essere svolto direttamente dai giuristi, in sede interpretativa e ricostruttiva, senza dover aspettare alcuna interpositio legislatoris.

Questo cambiamento del modo di intendere il rapporto tra norme costituzionali e norme infracostituzionali è stato ispirato da alcune fondamentali idee-guida, che non è necessario ripercorrere qui in dettaglio. (25) Quelle che ci interessano in questo contesto sono principalmente due: l’applicazione diretta o “orizzontale” di principi o diritti costituzionali ai rapporti interprivati, e l’interpretazione estensiva (o iper-intrerpretazione) delle disposizioni costituzionali.

In base alla prima idea-guida, le norme costituzionali sono considerate idonee a regolare anche rapporti tra privati (e non solo tra privati e lo Stato, o tra organi dello Stato), e quindi possono essere legittimamente invocate anche in controversie giuridiche appunto tra privati, e applicate da parte dei giudici comuni. (26) L’efficacia orizzontale delle norme costituzionali può essere messa in atto in vari modi: ad esempio invocando un principio costituzionale al fine di colmare una lacuna (e quindi sfruttando una lettura “costituzionalmente orientata” dell’art. 12 preleggi), oppure orientando l’interprete verso una interpretazione in senso costituzionalmente conforme di disposizioni legislative dal significato dubbio (interpretazione adeguatrice).

In base alla seconda idea-guida, si ritiene possibile (e anzi inevitabile) assoggettare le disposizioni costituzionali – e specialmente quelle attributive di diritti o proclamanti principi – ad interpretazione estensiva, in modo da trarne innumerevoli norme implicite. (27) Conseguenza di questa metodologia argomentativa è la possibilità di fare appello a principi costituzionali pressoché in ogni possibile contesto della vita sociale, e di ridurre o forse eliminare gli spazi costituzionalmente “vuoti”: «pressoché ogni conflitto giuridico si trova in un immaginario spazio giuridico nel quale si sovrappongono le aree di protezione di due o più diritti o interessi costituzionali […] Qualsiasi conflitto di interessi che non abbia una persuasiva composizione nelle leggi ordinarie ha altissime probabilità di essere tematizzato come conflitto tra interessi costituzionalmente rilevanti». (28) Inoltre, ove questa seconda idea si presenti congiuntamente alla prima (come di fatto accade), l’ulteriore, ovvia, conseguenza è che si dilaterà geometricamente la possibilità dei giudici di invocare principi costituzionali – in qualche loro formulazione o riformulazione – in sede di applicazione diretta della costituzione a rapporti interprivati.

Tornando alla tematica del bilanciamento, tutte le aree che abbiamo visto poco sopra (§ 2.2.1.) sono state variamente influenzate dal processo di costituzionalizzazione della cultura giuridica. Il risultato è che in quelle – come in altre – aree, in cui già (nella fase “pre-costituzionalizzata”) la cultura giuridica effettuava o sollecitava operazioni di bilanciamento tra beni o interessi giuridicamente rilevanti, si effettua o si sollecita adesso un bilanciamento tra principi o diritti costituzionali. Così, abbiamo avuto riletture, alla luce del bilanciamento tra principi o diritti costituzionali:

della responsabilità civile, o quantomeno di alcune applicazioni di essa: tipicamente quando vengono in considerazione diritti fondamentali, e questo tanto dal versante della posizione giuridica lesa, quanto da quello dell’attività lesiva; (29) del regime delle immissioni, particolarmente nel caso in cui sia coinvolta la tutela della salute di uno dei proprietari, o la tutela dell’ambiente; (30) della disciplina delle cause di giustificazione in materia penale (31) (caso di scuola: tutela della vita o dell’integrità fisica vs. libertà religiosa, (32) ma ovviamente anche libertà di manifestazione del pensiero vs. tutela della personalità), nonché della stessa struttura tipica di alcuni reati; (33) del regime dei vizi dell’atto amministrativo, anche se in questo caso il bilanciamento dei principi costituzionali è penetrato non tanto nell’ambito della verifica del corretto esercizio della discrezionalità (dove come abbiamo visto era implicata un’idea di ponderazione degli interessi rilevanti), quanto a seguito dell’inclusione, nel campo del vizio di violazione di legge, della contrarietà a norme costituzionali, e come conseguenza del fatto che solitamente più norme o principi costituzionali sono contemporaneamente rilevanti in un caso concreto;dell’interpretazione teleologica, in cui la ricerca della ratio legis è frequentemente sostituita dalla ricerca dei principi costituzionali rilevanti. (34)

Oltre a questi esempi specifici (ma che in realtà hanno amplissima portata, e importanza strategica), la tematica del bilanciamento occupa ovviamente un ruolo centrale in gran parte della giurisprudenza costituzionale, e nella letteratura costituzionalistica. Al di là dei singoli esempi sopra riportati, dunque, la tematica del bilanciamento tra principi o diritti costituzionali è oggi diventata, anche in Italia, onnipervasiva.

 

 

3. Il conflitto tra diritti

 

La necessità di bilanciare principi o diritti costituzionali ha come presupposto il fatto che principi o diritti confliggano, ossia una situazione in cui due o più diritti non possono essere soddisfatti contemporaneamente.

La pervasività del fenomeno del bilanciamento sembrerebbe implicare che anche i conflitti tra diritti o principi siano altrettanto pervasivi, ma di fatto questa posizione è controversa. Le posizioni che sono state espresse su questo punto sono alquanto articolate, e ne posso fornire un resoconto solo schematico. (35)

 

 

3.1. I conflitti non esistono

 

Una prima posizione sostiene che i conflitti tra diritti non esistono.

Questa idea può essere presentata in due modi diversi: talvolta si avanza la tesi concettuale che è possibile configurare un sistema normativo che comprende diritti che siano tutti compossibili (e solo quelli); (36) talaltra, si afferma che è certamente ammissibile da un punto di vista concettuale la possibilità del conflitto tra diritti, ma che tuttavia si tratta di un fenomeno del tutto limitato o marginale, o che comunque può essere reso – dopo un adeguato trattamento filosofico – limitato e marginale. In entrambi i casi non si tratta di posizioni solitamente difese in teoria del diritto: alcune formulazioni sono invece rinvenibili nell’ambito della filosofia politica e morale. (37)

Una versione della tesi dell’assenza di conflitti tra diritti ad esempio può essere desunta dalla teoria dei diritti come side-constraints (“vincoli collaterali”) di Robert Nozick: (38) i diritti vengono concepiti come vincoli assoluti alle possibilità di condotta disponibili agli agenti, e hanno una dimensione prettamente negativa: il rispetto di un diritto di A non richiederà l’intervento attivo di un agente B. Ogni agente, inoltre, deve curarsi solo della propria osservanza dei vincoli che rendono possibili i diritti altrui: la possibile violazione di un diritto di A non giustifica che B si debba attivare per evitarla. Coniugando questi due aspetti dei diritti, la possibilità di interferenza tra diritti diventa del tutto improbabile.

In teoria del diritto, la tesi dell’assenza di conflitti tra diritti fondamentali è stata recentemente sostenuta da Luigi Ferrajoli, (39) nell’ambito di una più complessiva e sofisticata teoria dei diritti fondamentali.

Ferrajoli stipula una definizione (formale) di diritto fondamentale, in base alla quale «sono ‘diritti fondamentali’ tutti quei diritti soggettivi che spettano universalmente a ‘tutti’ gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di cittadini o di persone capaci d’agire; inteso per ‘diritto soggettivo’ qualunque aspettativa positiva (a prestazioni) o negativa (a non lesioni) ascritta ad un soggetto da una norma giuridica».(40) Data questa definizione, la categoria dei diritti fondamentali viene quindi articolata al suo interno in:

a) diritti (primari) di libertà, i quali a loro volta possono presentarsi come

a1) immunità da lesioni o costrizioni (“libertà da”), oppure come

a2) facoltà di comportamenti non giuridici parimenti immuni da interferenze o costrizioni (“libertà di” oltre che “libertà da”);

b) diritti sociali, ossia diritti a prestazioni positive (sempre che siano universali nel senso sopra precisato);

c) diritti (secondari) di autonomia, come i diritti civili o i diritti politici, e cioè tutti quei diritti (o “diritti-poteri”) il cui esercizio è produttivo di effetti sulle libertà positive o negative altrui (intese queste come mere libertà naturali, e non come diritti di libertà di cui sub a)); l’esercizio di questi ultimi diritti è soggetto alla legge, dove per “soggezione alla legge” si deve intendere il complesso dei limiti e dei vincoli imposti dai diritti di libertà e dai diritti sociali. (41)

Tra questi vari tipi di diritti fondamentali esiste dunque un ordine gerarchico, in base al quale i diritti sub c) sono subordinati a quelli sub a) e b): questi disegnano il complesso dei limiti (legislativi, costituzionali) nell’ambito dei quali solo si possono esercitare quelli. (42) I diritti fondamentali nel loro complesso, inoltre, sono per definizione sovraordinati ai diritti patrimoniali (i quali possono essere definiti come diritti non universali, disponibili, e aventi origine in atti di natura individuale, come atti negoziali, o atti amministrativi). (43)

Ora, in questo quadro teorico la possibilità di conflitti tra diritti fondamentali viene – afferma Ferrajoli – radicalmente ridotta, o addirittura esclusa. Infatti:

 a1) i diritti-immunità sono di per sé illimitati, la loro garanzia non interferisce con altri diritti: questi diritti, afferma Ferrajoli, «tendenzialmente convivono senza reciproche interferenze»; (44)

a2) i diritti di libertà incontrano solo il limite imposto dalla loro convivenza con i diritti di libertà degli altri, con cui effettivamente possono entrare in conflitto; questo è l’unico caso di conflitto che Ferrajoli è apparentemente disposto ad ammettere; (45)

b) i diritti sociali incontrano limiti non in diritti fondamentali di altro tipo, ma solo nei costi necessari ad assicurarne il soddisfacimento: questi costi sono soddisfatti tramite il prelievo fiscale e quindi tramite il sacrificio di diritti patrimoniali (che sono subordinati a quelli fondamentali); inoltre la scelta se destinare le risorse verso alcuni tipi di prestazioni sociali invece che altri è, secondo Ferrajoli, una scelta meramente politica, e non un limite imposto ad un diritto (sociale) da un altro diritto; (46)

c) i diritti di autonomia o diritti-potere non possono entrare in conflitto con (gli altri) diritti fondamentali, in quanto sono “costitutivamente” delimitati da questi ultimi: «il loro rapporto con gli altri diritti fondamentali non è configurabile come ‘conflitto’ bensì come soggezione alla legge […] le leggi hanno il compito di sottoporre a limiti, vincoli e controlli giurisdizionali» (47) questi diritti.

Il modello costruito da Ferrajoli, che spero di aver riprodotto correttamente, è esposto, mi pare, a tre principali osservazioni critiche, tra loro connesse.

Una prima osservazione è che, di stipulazione in stipulazione, il modello finisce per allontanarsi troppo dal modo in cui i giuristi di fatto concepiscono e trattano il problema del conflitto tra diritti fondamentali. È pur vero che si tratta appunto di un modello dichiaratamente stipulativo e non descrittivo, ma la funzione di una stipulazione dovrebbe essere in ultima analisi chiarificatrice, di facilitarci l’accesso alla “realtà”: ci si può dunque interrogare sulla utilità euristica di una stipulazione che faccia piazza pulita della nostra intuizione comune (e di diffuse pratiche argomentative e decisionali) secondo cui i diritti fondamentali confliggano. (48)

Una seconda osservazione è che la restrizione (e la tendenziale esclusione) dell’ambito dei conflitti tra diritti fondamentali avviene al prezzo di limitare l’orizzonte ai soli conflitti tra diritti di tipo diverso, mentre possono effettivamente e frequentemente verificarsi conflitti tra diritti dello stesso tipo (ad esempio, tra più diritti di libertà), o addirittura tra istanze di un medesimo diritto: (49) ed è a ben vedere il problema che deve affrontare qualunque strategia che miri a eliminare il conflitto tra diritti istituendo un qualche tipo di gerarchia tra i diritti stessi.

Così, Ferrajoli si dota degli strumenti teorici per escludere il conflitto tra diritti di libertà e diritti sociali, o tra diritti di libertà e diritti di autonomia, ma non prende in considerazione il possibile conflitto:

tra diritti-immunità, come nel caso in cui si debba scegliere tra il diritto alla vita di Tizio e quello di Caio (ad esempio in ipotesi di legittima difesa o stato di necessità); o tra il diritto di Caio a non essere torturato per ottenere informazioni su un probabile attentato terroristico, e il diritto dei passeggeri di un aereo a non essere uccisi da una bomba; oppure tra diritti di libertà e immunità, come nel caso di scuola della “libertà” di gridare per scherzo «al fuoco» in un teatro affollato, mettendo così a rischio la vita e l’incolumità fisica dei presenti; oppure tra diritti di libertà, come nel caso dell’interferenza tra diritto di sciopero e libertà di circolazione; (50) oppure ancora tra diritti sociali, come nel caso in cui si debba decidere se destinare le risorse disponibili ad un certo tipo di prestazione sociale a scapito di un altro. (51)

Si potrebbe anche aggiungere che la rigida gerarchia tra diritti di autonomia e diritti di libertà, in base alla quale i primi dovrebbero recedere sempre e completamente di fronte ai secondi, non renda giustizia del modo effettivo di funzionare dei diritti fondamentali. Invero, si possono immaginare legittime limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero nell’ambito di un rapporto contrattuale di lavoro (si pensi al dovere di riservatezza del dipendente, o all’obbligo di rispettare la linea editoriale di un giornale da parte di un giornalista) o, sempre nell’ambito del rapporto di lavoro, limiti alla libertà di iniziativa economica del dipendente – peraltro anche oltre l’esaurimento del rapporto contrattuale stesso (il dovere di fedeltà e i c.d. patti di non concorrenza: artt. 2105 e 2125 c.c.). (52)

Una terza osservazione è che il modello teorico disegnato da Ferrajoli solo apparentemente neutralizza il problema dei conflitti tra diritti fondamentali, mentre in realtà finisce per ammetterne implicitamente l’ineluttabilità.

In primo luogo, infatti, Ferrajoli concede che i diritti di libertà possano confliggere tra loro, e questa è già una concessione non trascurabile, qualitativamente e quantitativamente. Analoga concessione viene fatta, quasi en passant, a proposito del rapporto tra diritti sociali e altri diritti fondamentali. (53)

In secondo luogo, Ferrajoli ammette che i diritti di autonomia siano «destinati a confliggere ove non siano giuridicamente limitati e disciplinati»; (54) il conflitto dovrebbe quindi essere escluso in virtù del fatto che nello stato costituzionale di diritto questi limiti giuridici esistono, e sono appunto i diritti di libertà e i diritti sociali. Ora, pur concedendo che le cose stiano così (ma, come abbiamo appena visto, è dubbio), i diritti di autonomia non darebbero luogo a conflitti solo ove i limiti giuridici (legislativi, costituzionali) fossero adeguatamente precisi e puntigliosi, mentre ogni volta che la disciplina giuridica “sovraordinata” dei diritti di libertà e dei diritti sociali fosse sufficientemente vaga, imprecisa, lacunosa, antinomica, ecco che la possibilità dei conflitti tornerebbe a ripresentarsi. Si può ritenere che per un verso la sciatteria dei legislatori in carne e ossa (ben lontani dall’ideale illuminista del legislatore perfettamente razionale), e per altro verso l’ineluttabile complessità della dimensione etica sostanziale degli ordinamenti giuridici costituzionali contemporanei, (55) introducano di fatto ulteriori crepe nell’edificio costruito da Ferrajoli.

C’è quindi qualche ragione per sospettare che i conflitti tra diritti fondamentali possano effettivamente presentarsi. Vediamo come.

 

 

3.2. I conflitti sono solo apparenti

 

Una seconda posizione sostiene che i conflitti tra diritti fondamentali possono di fatto verificarsi, come mostra il lavoro pressoché quotidiano delle corti costituzionali. Si tratta tuttavia di conflitti solo apparenti perché, passata la bufera del conflitto tra i diritti o principi, è comunque possibile ristabilire un ordine, una armonia nel cielo costituzionale. La differenza rispetto all’idea secondo cui i conflitti non esistono potrebbe essere considerata in un certo senso cronologica: nel caso precedente, infatti, l’idea-guida è di costruire un sistema di diritti nel quale i conflitti (almeno tendenzialmente) non si verifichino ex ante. In questo secondo caso, invece, si prende atto che di fatto i conflitti possano avere luogo, ma possono tuttavia essere utilizzate tecniche che ne mettano in luce – in ultima analisi – la natura solo apparente.

In altre parole, la differenza rispetto alla strategia precedente è che in quella la soluzione al conflitto tra diritti era teorica, definitoria, e formale (o, se si vuole, “in astratto”), mentre in questo caso la soluzione è in qualche modo interpretativa: l’interprete, con piglio michelangiolesco, si pone davanti al blocco di marmo grezzo delle controversie giuridiche, dei conflitti sociali, o delle apparenti incongruenze del testo costituzionale e, avendo tolto «il suo soverchio», porta alla luce un intimo ordine che era lì fin dall’inizio.

Le strategie messe all’opera nell’ambito di questa seconda posizione sono, mi pare, principalmente due (con varie ramificazioni all’interno di ciascuna). (56)

Occorre anche osservare che questo è più spesso un modo di pensare diffuso ed implicito in varie strategie argomentative utilizzate dai giuristi, anziché una serie di tesi articolate e dimostrate in dettaglio.

 

 

3.2.1. Ordine oggettivo dei valori, gerarchia dei principi costituzionali, contenuto essenziale dei diritti

 

Una prima strategia consiste nel superare l’apparente conflittualità tra principi o diritti costituzionali portando alla luce la struttura profonda della armonica coesistenza dei principi stessi: il testo costituzionale viene considerato come l’espressione di un nucleo coerente e armonico di principi, di valori, una trama assiologica complessa ma comunque – in fondo – lineare e dotata di una sua intrinseca intelligibilità. (57)

Questo modo di vedere ha un corollario riguardo agli (apparenti) conflitti tra principi o diritti costituzionali: infatti, l’implicazione che segue immediatamente all’idea dell’armonia immanente al quadro costituzionale è che, se vari principi apparentemente spingono in direzioni diverse, allora la loro riconduzione ad un ordine armonico può essere raggiunta solo strutturando i principi in un ordine gerarchico. L’individuazione di questo ordine gerarchico prescinde – o comunque non è rigidamente vincolato – dalla formulazione letterale del testo costituzionale, dalla circostanza che esso preveda espliciti ordini di preferenza tra i principi: è piuttosto un ordine contenutistico, assiologico, che viene ricavato da una lettura sostanzialista della costituzione.

A questa strategia argomentativa, poi, si aggiunge solitamente un ulteriore tassello: poiché un ordine gerarchico rigido e pietrificato tra principi o diritti costituzionali sarebbe comunque implausibile (sarebbe comunque distante dal modo effettivo di “funzionare” dei diritti costituzionali), allora si afferma che la gerarchia, o la più intensa garanzia costituzionale riguarda non il diritto o principio inteso in qualsivoglia contesto applicativo, ma solo il suo “contenuto essenziale”. (Si sarà notato che i tre passaggi in cui si articola questa strategia argomentativa non sono legati da vincoli di logica deduttiva, ma piuttosto da passaggi di natura retorico persuasiva).

Le espressioni più compiute di questo modo di pensare si possono rinvenire nella dottrina formulata dalla Corte costituzionale tedesca sull’ordine oggettivo dei valori (objektive Wertordnung), (58) secondo cui al vertice della scala dei valori vi è il valore della dignità umana, che non può essere bilanciato con altri valori; l’idea del contenuto essenziale dei diritti fondamentali è inoltre espressamente enunciata dall’art. 19, comma 2, del GrundGesetz (nonché dall’art. 53, comma 1, della Costituzione spagnola).

Echi della concezione tedesca dell’ordine obiettivo dei valori costituzionali affiorano pure nelle motivazioni di alcune note sentenze della Corte costituzionale italiana. (59) L’idea è stata progressivamente articolata dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina costituzionalistica soprattutto in rapporto alla tesi dell’esistenza dei c.d. principi costituzionali supremi, ossia di principi costituzionali dotati di un valore gerarchico superiore a tutti gli altri principi costituzionali. Questi principi supremi sono stati di volta in volta individuati nei principi di uguaglianza dei cittadini, di effettività della garanzia giurisdizionale, della laicità dello Stato, e inoltre nel complesso dei diritti cui si conviene la qualifica di “inviolabili”. In quanto supremi, tali diritti sono

a) sottratti al procedimento di revisione costituzionale (sono limiti impliciti o, secondo alcuni, logici alla revisione costituzionale), e pertanto

b) tali da poter essere utilizzati dalla Corte costituzionale come parametro per sottoporre a sindacato di costituzionalità anche le leggi costituzionali e di revisione costituzionale; (60)

c) prevalenti in caso di conflitto con altre norme costituzionali (e quindi in linea di massima sottratti al bilanciamento caso per caso con altri diritti confliggenti); tuttavia,

d) la garanzia super-costituzionale – e anche la sottrazione al bilanciamento – non consiste tanto nel divieto di qualsivoglia interferenza con questi diritti o principi, quanto piuttosto nel divieto di pregiudicarne il contenuto essenziale. (61)

Qualche osservazione.

La prima osservazione è che la costruzione della gerarchia dei valori costituzionali è comunque estrinseca al testo costituzionale, è sovrapposta ad esso in via interpretativa: è frutto di una operazione di ricostruzione contenutistica e assiologica della costituzione nel suo complesso, operazione lontanamente affine alla interpretazione sistematica, e nell’ambito della quale il testo rappresenta un vincolo del tutto secondario. (62) Peraltro, a fronte di un testo come la costituzione italiana, o se è per questo come molte costituzioni contemporanee, frutto del compromesso tra componenti politiche e ideologiche differenti e pertanto espressione di pluralismo, è ipotizzabile che siano configurabili diverse ricostruzioni “sostanzialistiche”, in grado di rendere conto in maniera egualmente adeguata dei valori contenuti nel documento costituzionale.

Inoltre, ordinare principi o diritti o valori in un ordine gerarchico stabile si presta ad esiti potenzialmente contrintuitivi: infatti, posto che da ogni diritto (tanto più se diritto fondamentale, fraseggiato in termini molto ampi e valutativi) rampollano diversi più specifici diritti e obblighi a carico di terzi, (63) è implausibile che ognuno di questi ultimi diritti e obblighi prevalga in ogni possibile circostanza sugli altri diritti costituzionali ma “sotto-ordinati”: (64) si può agevolmente immaginare infatti che alcuni di questi diritti più specifici siano comunque soggetti ad essere bilanciati con altri diritti. (65) Da qui l’individuazione solo assai vaga, generica, e non esustiva dei diritti “supremi” e degli ordini di priorità con gli altri diritti, oppure il porre al grado apicale non il diritto fondamentale tout court ma solo il contenuto essenziale del diritto (su cui torneremo tra poco). L’operazione di ricostruzione di un nucleo assiologico stabile della costituzione, e sovraordinato alle altre norme costituzionali, è dunque esposto ad un duplice grado di discrezionalità (per un verso, per quanto riguarda la costruzione della gerarchia assiologica tra diritti o principi, e per altro verso nell’individuazione di ciò che di volta in volta ricade o fuoriesce dal “nucleo essenziale”), e comunque mostra che non è idonea ad escludere il verificarsi di conflitti tra diritti fondamentali.

La seconda osservazione è che la scala dei valori o l’idea dei principi supremi possono valere a sterilizzare solo alcuni specifici casi di conflitto tra diritti fondamentali, vale a dire il conflitto tra i diritti costituzionali “supremi” e gli altri diritti costituzionali, sottraendo così i primi al bilanciamento con i secondi (anche se abbiamo appena visto che è improbabile che sia davvero così). Ma questo vale implicitamente a riconoscere che per tutti gli altri casi il conflitto tra diritti fondamentali (ed eventualmente il ricorso al bilanciamento) resta ineluttabile. In altre parole, la possibilità del conflitto rimane integra: a) tra diritti diversi posti nei gradi intermedi della ipotetica scala gerarchica (vale a dire, tra principi costituzionali “non supremi”); b) tra due istanze di un medesimo diritto costituzionale “non supremo”; c) tra due istanze di un medesimo diritto costituzionale “supremo”.

La terza osservazione è che l’idea stessa del contenuto essenziale – a meno di non accedere ad una concezione ingenuamente cognitivistica dei valori racchiusi nei diritti costituzionali – è a sua volta intrinsecamente associata all’idea del conflitto tra diritti. Infatti, possiamo ricostruire il contenuto essenziale di un diritto non in vacuo, ma solo a partire da una serie di ipotesi tipiche, di casi paradigmatici in cui la violazione o anche la limitazione di quel diritto ci sembra inammissibile. (66) Se le cose stanno così, allora l’individuazione del nucleo essenziale presuppone che siano già stati effettuati bilanciamenti tra diritti, valutazioni in termini di costi e benefici tra interessi da tutelare e doveri da imporre a terzi, ecc., (67) e che il nucleo essenziale di un diritto resterà intangibile solo fino a quando un altro interesse (= diritto) concorrente non reclami una tutela più intensa.

In altre parole, anche l’individuazione del nucleo essenziale dei diritti fondamentali segue (e non precede), presuppone (e non preclude), il conflitto tra diritti e il loro bilanciamento.

 

 

3.2.2. Specificazionismo, categorizzazione, limiti impliciti

 

Una seconda strategia è volta ad evitare l’insorgere di conflitti tra diritti specificando tutte le possibili eccezioni cui un diritto è soggetto, in modo da distinguere i casi in cui il diritti si applica realmente, da quelli in cui l’applicazione è solo prima facie. Anche qui si può sostenere che l’eventuale conflitto tra diritti è solo apparente, perché esso è destinato a scomparire una volta che – in sede interpretativa – si sia precisato meglio l’ambito di applicazione dei diritti in conflitto, se ne sia fatta una opportuna actio finium regundorum.

Questa strategia, che in filosofia morale è definita “specificazionismo”, (68) può essere percorsa in due modi (in entrambi i casi si tratta a ben vedere della stessa operazione, ma vista da prospettive differenti):

a) restringendo l’ambito di applicazione fattuale del diritto (ad esempio: la libertà di manifestazione del pensiero non comprende il “subiettivamente falso” – così si esprimeva la giurisprudenza italiana meno recente; oppure: comprende le parole ma non le azioni);

b) rendendo esplicite nella disciplina di quel diritto un certo numero di eccezioni, che sono il riflesso dello spazio di tutela assegnato ad altri diritti o ad altri beni (ad esempio: la manifestazione del pensiero è libera a meno che non realizzi una intrusione nella riservatezza altrui). In questo modo sarebbe possibile disegnare una disciplina precisa dei diritti, che eviterebbe l’insorgere dei conflitti, almeno in molti casi (69) – e la necessità di ricorrere al bilanciamento.

La prima versione della strategia specificazionista ha avuto una certa fortuna nella cultura giuridica americana meno recente con il nome di “categorization”, e sta anche vivendo un rinnovato interesse come possibile candidato alternativo in reazione alla pervasività del bilanciamento: (70) consiste nel fornire una definizione quasi lessicografica dei termini che compaiono nelle disposizioni costituzionali, e utilizzare tali definizioni invariabilmente nelle possibili applicazioni concrete di tali disposizioni; dalla definizione del diritto così ricavata, inoltre, si desumono altresì i limiti logici di quel diritto, ossia le (apparenti) manifestazioni di quel diritto che però, a ben vedere, restano fuori dalla (corretta, vera, ecc.) definizione del diritto. (71) Così, una volta definita la libertà di manifestazione del pensiero come limitata alle sole parole, si escluderà che possa costituire esercizio di questa libertà il vilipendio della bandiera, o la parata in abiti nazisti: non si dovrà risolvere alcun conflitto tra queste manifestazioni del pensiero e altri interessi concorrenti, perché il vilipendio è già stato escluso dall’ambito “logico” di applicazione della libertà di espressione.

La seconda versione della strategia specificazionista fa da sfondo all’idea che ogni diritto nasca intrinsecamente limitato, e che tale limite consista non solo nella disciplina espressa di quel diritto, ma anche nell’esigenza di non comprimere altri diritti (72) (la tesi dei c.d. limiti impliciti), e – anche se forse in maniera più indiretta – alla già esaminata teoria del contenuto essenziale dei diritti fondamentali (§ 3.2.1.). Si tratta, mi pare, di due facce della stessa strategia definitoria, vale a dire che nel caso della teoria dei limiti impliciti si intende il limite del diritto come ciò che la disciplina del diritto non può includere (fino a che punto la tutela del diritto non può spingersi), e nel caso della teoria del contenuto essenziale si intende il limite come ciò che la disciplina del diritto non può non includere (fino a che punto la limitazione del diritto non può spingersi).

Ulteriore esempio di questa strategia, infine, è la recente proposta, avanzata da Riccardo Guastini, di risolvere il conflitto tra diritti (o principi) costituzionali alla luce del criterio di specialità. (73) La premessa da cui muove Guastini è che il conflitto tra diritti può essere risolto solo con l’istituzione di una gerarchia assiologica, cioè con la soggettiva assegnazione, da parte dell’interprete, di un maggior “peso” o valore ad uno dei diritti rispetto all’altro – e quindi con una operazione già dotata di un alto grado di discrezionalità. La gerarchia così istituita è inoltre “mobile”, nel senso che l’interprete potrà sovvertirla in un futuro caso di conflitto tra i medesimi diritti: il che aggiunge un ulteriore connotato di discrezionalità al giudizio di bilanciamento. Se è così, allora l’unico modo per assicurare qualche grado di prevedibilità alle decisioni giudiziarie che implicano un conflitto tra diritti consisterà nel reiterare la gerarchia assiologica così istituita in tutte le future ipotesi di conflitto tra quei diritti: in tal modo il conflitto tra libertà di espressione e tutela della personalità, o tra uguaglianza formale e sostanziale, dovrà essere sempre risolto nello stesso modo (e non con un giudizio caso per caso). (74)

Qualche osservazione.

La prima osservazione è che le (nette?) definizioni del contenuto dei diritti fondamentali che si intendono attaccare alle disposizioni costituzionali sono in fin dei conti tanto creative e arbitrarie quanto lo potrebbe essere un bilanciamento tra diritti costituzionali. (75) Inoltre, definire il contenuto di un diritto fondamentale come se si trattasse di un operazione meramente descrittiva e ricognitiva di qualcosa che è “già lì” è altrettanto implausibile che pretendere di “scoprire” un ordine oggettivo di valori alle spalle del testo costituzionale.

La seconda osservazione è che una disciplina costituzionale che prevedesse esclusivamente diritti formulati in termini rigorosamente circostanziati risulterebbe del tutto implausibile: un testo del genere sarebbe estraneo al genere letterario “dichiarazione dei diritti”, (76) e più simile forse al genere letterario “codice della strada”.

La terza osservazione è che, come ammettono quantomeno i fautori meno ingenui di questo modello, la capacità umana di prevedere i possibili conflitti tra diritti è limitata, e che pertanto il ricorso alla tecnica specificazionista può ridurre, ma non eliminare, i conflitti tra diritti. Più chiaramente: una tecnica di redazione dei testi normativi che prevedesse una formulazione precisa dei diritti non è, in linea di massima, né impossibile né inopportuna. (77) Tuttavia essa incontra necessariamente le seguenti limitazioni: a) non tutte le eccezioni rilevanti sono prevedibili, e quindi le regole così disegnate restano esposte al fenomeno della defettibilità; b) una simile formulazione “circostanziata” è più appropriata ai diritti “ordinari” contenuti in codici e leggi speciali, mentre è inadeguata (come accennato sopra) per i testi costituzionali che proclamano diritti e libertà fondamentali.

La quarta osservazione è che l’individuazione dei limiti impliciti non è possibile in astratto, non è possibile predeterminare in maniera esatta e definitiva tutti i possibili limiti a cui è assoggettabile un diritto: il concetto di limite implicito quindi segue (e non esclude) un bilanciamento tra diritti in conflitto. (78)

Per essere più chiari: non è qui in questione l’idea che ogni diritto subisca limitazioni implicite ad opera di altri diritti, idea che anzi è assolutamente sensata (e sarà ulteriormente sviluppata in questo saggio); piuttosto, ciò che è discutibile è l’idea che tali limiti siano univocamente individuabili a priori (“in books”), prima che i diritti entrino “in azione”, mentre invece è proprio la natura implicita dei limiti a renderli non predeterminabili. (79) Più in generale, l’istituzione di un diritto implica inevitabilmente la possibilità di istituire un numero solitamente indeterminato (e forse astrattamente indeterminabile) di doveri; l’indeterminatezza di questi doveri può derivare dal fatto che, pur trattandosi di doveri esplicitamente codificati in norme positive, possono però essere formulati in termini molto ampi, come nel caso delle disposizioni costituzionali, oppure dal fatto che si tratta di doveri contenuti in norme implicite ricavate in via interpretativa a partire dal valore che giustifica il diritto. (80) Ora, tali doveri possono essere configurati anche come doveri di astensione dall’esercitare prerogative derivanti da altri diritti: di conseguenza, l’imposizione di doveri ad altri soggetti può essere concepita (almeno a volte) come una limitazione dei diritti di questi ultimi.

Dunque, nella misura in cui l’individuazione di limiti impliciti al contenuto dei diritti ricalca l’individuazione del contenuto essenziale dei diritti fondamentali (già vista supra, § 3.2.1.) essa è esposta alla medesima critica: che invece di evitare un bilanciamento lo presuppone – per di più occultandolo: in fin dei conti, che altro è l’introduzione in via interpretativa di eccezioni, se non un bilanciamento?

La quinta osservazione è che la soluzione dei conflitti tra diritti costituzionali alla luce del principio di specialità si risolve nella istituzione in via interpretativa di una gerarchia sostanziale, materiale tra i diritti in contesa; (81) e poiché tale gerarchia è estranea al testo costituzionale, l’operazione suggerita da Guastini conduce, mi sembra, ad una modifica tacita della costituzione ad opera degli interpreti. (Questa tesi di Guastini mi sembra condizionata da – o comunque solidale con – la sua assunzione che “ponderare” diritti significhi esclusivamente accantonarne del tutto uno a favore di un altro: la discussione su quest’ultimo punto credo solleverà ulteriori perplessità sull’idea di risolvere il conflitto tra diritti in base al principio di specialità: v. infra, § 4.2.).

In conclusione, la strategia “specificazionista” nelle sue versioni più radicali è implausibile, mentre nelle sue versioni più moderate lascia aperta (e comunque presuppone) la possibilità di un conflitto tra diritti.

 

 

3.3. I conflitti sono reali

 

Quanto detto sinora ingenera il legittimo sospetto che il fenomeno del conflitto tra diritti esista, e che sia non meramente apparente, ma reale. Nessuna delle strategie di esclusione o di limitazione del conflitto tra diritti viste finora sembra riuscire a fugare l’idea che i diritti fondamentali contenuti nel testo costituzionale, o ricavati a partire da esso, possono effettivamente entrare in conflitto tra loro.

Una teoria morale potrebbe avventurarsi nel costruire stipulativamente una gerarchia di valori, ordini di priorità precisi e così via, ma se si parla di diritti (soggettivi) positivi allora la teoria deve subire il condizionamento del diritto (oggettivo) positivo. Ora, per quanto riguarda i diritti fondamentali, il diritto positivo ci dice due cose: esiste un testo costituzionale che non è un monolite etico-ideologico, ma è il frutto del concorso e del compromesso tra ideologie differenti. (82) Lo stesso testo, inoltre, assai raramente stabilisce ordini di priorità tra i diritti; e peraltro gli stessi ordini di priorità, quando sono espressamente formulati, sono a loro volta considerati non assoluti, ma tendenziali e defettibili.

Si può riconoscere che almeno alcune delle strategie viste sopra siano mosse non solo da esigenze di coerenza teorica e di rigore epistemologico, ma anche da lodevoli finalità di politica del diritto: prima tra tutte, probabilmente, la volontà di sottrarre i diritti a calcoli utilitaristici, (83) collocandoli in uno spazio protetto dove altre considerazioni – e specialmente le considerazioni relative all’“interesse generale” – non possano arrivare; inoltre, se il conflitto è reale, allora dovrà essere risolto con una operazione (il bilanciamento) che fin dalle sue prime apparizioni è stata considerata nemica della certezza del diritto, il che renderebbe i diritti fondamentali, e in ultima analisi la costituzione stessa, “ciò che le corti dicono che essa sia”.

Nonostante le buone intenzioni di chi difende la tesi contraria, però, l’idea che i diritti fondamentali confliggano, e che sia necessario bilanciarli, non ci ha abbandonato. La terza posizione, che ora stiamo discutendo, ci dice allora che è inutile e forse inopportuno nascondere i conflitti come la polvere sotto i tappeti: dobbiamo fare i conti con essi. Proviamo dunque, in primo luogo, a delineare sinteticamente le più frequenti ipotesi di conflitto tra diritti costituzionali.

 

 

3.3.1. Una tipologia dei conflitti

 

Una prima ipotesi (84) è data dalla concorrenza di soggetti diversi nel godimento dello stesso diritto (conflitti intra-rights), il che può verificarsi sia a proposito dei diritti sociali (ad esempio, quando non sia possibile assicurare una certa prestazione sociale a tutti gli aventi diritto), sia a proposito di diritti di libertà (quando, in concrete circostanze, non è possibile che tutti esercitino uno stesso diritto: ad esempio, non tutti possono parlare contemporaneamente durante un’assemblea, o una lezione universitaria).

Una seconda ipotesi è data dalla concorrenza di interessi individuali non omogenei (conflitti inter-rights), come ad esempio la libertà di espressione e la tutela della riservatezza, il diritto di sciopero e la libertà di circolazione, e così via. Si noti che in questa ipotesi di conflitto possono trovarsi contrapposti non solo – come sembrerebbe normale – più soggetti titolari di diritti diversi, ma anche uno stesso soggetto titolare di due diritti in conflitto (ad esempio nel caso dell’eutanasia, si può pensare che vengano in conflitto il diritto alla vita e il diritto alla autodeterminazione sanitaria della stessa persona).

Una terza ipotesi è data dalla concorrenza tra interessi individuali e interessi di altro tipo (collettivi, istituzionali, ecc.), come ad esempio nel caso del conflitto tra il diritto di cronaca e il segreto di Stato.

Queste tre ipotesi principali possono ulteriormente essere complicate guardandole da una prospettiva lievemente differente, vale a dire dalla prospettiva dell’ampiezza (o, se si vuole, del grado, o dell’estensione) con cui ciascuno di questi conflitti si può presentare. Così, con una tipologia mutuata dalla teoria delle antinomie, (85) sembra abbastanza diffusa la distinzione tra a) conflitti in astratto e conflitti in concreto, e b) conflitti totali e conflitti parziali. (86)

I conflitti in astratto si pongono quando le norme che fondano i diritti in contesa connettono conseguenze incompatibili a fattispecie astratte «che si sovrappongono concettualmente».(87) Ad esempio, il diritto di A di parlare entra in conflitto con il diritto di B di non essere insultato (verbalmente): quest’ultimo diritto può essere concettualmente violato solo dall’esercizio della libertà di parola. I conflitti in concreto sorgono quando le norme che fondano i diritti in contesa connettono conseguenze incompatibili ad una certa fattispecie concreta, il che accade quando tale ultima fattispecie è riconducibile simultaneamente a due classi di fattispecie concettualmente indipendenti. Ad esempio, il diritto di A di parlare entra in alcuni casi in conflitto con il diritto di B alla propria privacy: quest’ultima potrebbe però essere violata anche con mezzi diversi rispetto alla parola, ad esempio con fotografie o intercettazioni telefoniche.

Di contro, un conflitto totale si ha quando l’esercizio di un diritto A, in ogni sua possibile declinazione, non può coesistere (non è compossibile) con l’esercizio di un altro diritto B, in ogni sua possibile declinazione. Un conflitto parziale può essere unilaterale o bilaterale. Un conflitto “parziale unilaterale” si verifica quando l’esercizio di un diritto A, in ogni sua possibile declinazione, non può coesistere con l’esercizio di alcune specifiche istanze del diritto B. Un conflitto “parziale bilaterale” si verifica quando l’esercizio di alcune specifiche istanze del diritto di un diritto A non può coesistere con l’esercizio di alcune specifiche istanze del diritto B.

Confesso che non mi è del tutto chiara la relazione tra queste due categorie di antinomie (in astratto/in concreto e totali/parziali), né l’utilità di distinguerle, beninteso in relazione ai conflitti tra diritti fondamentali o tra principi costituzionali (88) (la distinzione invece funziona, ovviamente, se applicata ad antinomie tra regole, vale a dire tra norme che hanno condizioni di applicazione ben definite). Infatti, trattandosi di norme con condizioni di applicazione non precisamente predeterminate, le antinomie totali e quelle parziali unilaterali non possano che essere antinomie in astratto, (89) mentre le antinomie parziali bilaterali non possono che essere in concreto. Questo significa che un conflitto parziale bilaterale tra diritti fondamentali, essendo necessariamente anche un conflitto in concreto, non è esattamente predeterminabile e identificabile in astratto, come invece potrebbero essere le antinomie parziali bilaterali tra regole (con la famosa immagine dei due cerchi che si sovrappongono parzialmente).

Normalmente, i conflitti tra diritti costituzionali (nelle tre varianti viste all’inizio di questo paragrafo) appartengono proprio alla categoria dei conflitti in concreto, o parziali bilaterali. A ben vedere questo deriva non solo dalla circostanza che i diritti costituzionali sono formulati in termini estremamente ampi e generici, ma anche dal fatto che uno stesso diritto costituzionale può fondare diversi ulteriori e più specifici diritti, facoltà, pretese, e obblighi a carico di terzi; questi potranno entrare in conflitto con diritti, facoltà, pretese e obblighi derivanti da un altro diritto costituzionale. Se questo quadro è attendibile, allora normalmente il conflitto potrà porsi tra alcuni soltanto di questi specifici diritti, facoltà, pretese e obblighi derivanti rispettivamente da ciascuno dei diritti in contesa, e non tra tutti: situazione che può appunto essere ricondotta allo schema della antinomia parziale bilaterale, (90) il che implica peraltro che le ipotesi di possibile conflitto tra diritti fondamentali non sono esattamente predeterminabili (al di là dei casi paradigmatici, e dei casi già conosciuti).

Per amore di argomento, si può comunque osservare che non tutti i tipi di conflitti tra diritti fondamentali sembrano agevolmente riconducibili allo schema dell’antinomia parziale bilaterale. (91)

Primo esempio: i conflitti intra-rights che tipo di antinomia sono? Ovviamente possono essere considerati conflitti parziali bilaterali solo a condizione di pensare che il conflitto si ponga tra diritti più specifici che rampollano dal diritto costituzionale più generale, e senza che uno dei due sia interamente riconducibile all’ambito di applicazione dell’altro. Il quadro si complica non appena ci si renda conto che molti di questi diritti più specifici sono norme implicite, perché sono intagliati dagli interpreti a partire da norme costituzionali più generali utilizzando procedimenti argomentativi di vario tipo; ciò vuol dire che il grado di “generalità” o “specificità” di questi diritti è ampiamente rimesso a determinazioni e convenzioni interpretative (la cui più o meno diffusa accettazione nell’ambito della cultura giuridica è questione contingente), e allora nulla vieta, in via di ipotesi, che un conflitto intra-rights venga configurato anche come antinomia totale. (92)

Secondo esempio: il conflitto tra l’uguaglianza formale e quella sostanziale è davvero un conflitto parziale in concreto, (93) oppure un (più inquietante) conflitto in astratto totale (è concettualmente immaginabile una misura di uguaglianza sostanziale che non violi l’uguaglianza formale, e viceversa)?

 

 

3.3.2. La risoluzione del conflitto

 

Come che sia, la conseguenza pratica è comunque la stessa: i tradizionali criteri di soluzione delle antinomie non servono a risolvere questi tipi di conflitto. Infatti, una volta accertato che i diritti in conflitto hanno pari dignità, perché entrambi dotati di garanzia costituzionale, l’interprete non avrà la possibilità di ricorrere:

 al criterio lex superior derogat inferiori, in quanto si tratta appunto di diritti equi-ordinati sul piano della gerarchia delle fonti (a meno di non instaurare una gerarchia interna al testo costituzionale: strategia che abbiamo esaminato e criticato supra, § 3.2.1.); al criterio lex posterior derogat priori, in quanto si tratta di diritti contenuti in un medesimo documento normativo e quindi coevi;

al criterio lex specialis derogat generali, in quanto tra le norme che fondano i due diritti in conflitto non si dà un rapporto di specialità, nessuna delle due norme è speciale rispetto all’altra: si tratta infatti di una antinomia parziale bilaterale (a meno di non riconfigurare uno dei due diritti in termini di eccezione rispetto all’altro: strategia che abbiamo già esaminato e criticato supra, § 3.2.2.).

Sembra che siamo giunti in una fase di stallo: ciò perché, a quanto sembra, non disponiamo di una gerarchia tra i diritti in conflitto: abbiamo un catalogo, una lista di diritti confliggenti e concorrenti. Lo stallo è risolto dalla formula magica: il bilanciamento o ponderazione tra i diritti in conflitto.

 

 

4. Il bilanciamento

 

Quella del bilanciamento è una metafora, ed estremamente evocativa: tanto per cominciare la bilancia è uno dei più antichi simboli della giustizia. Rimanda ad una attività che è non solo “equilibrata”, ma anche precisa e oggettiva: a qualcosa (a qualche arredo del mondo) viene assegnato un peso in relazione ad una unità di misura e, per transitività, il peso viene assegnato ad altre cose di tipo diverso. Alla fine, tra entrambi i tipi di cose, e tra qualsiasi cosa, sarà stabilita, o addirittura semplicemente rilevata, una agevole, misurabile, evidente relazione di peso.

È ovvio che nel diritto le cose non sono così semplici. Ciò che deve essere pesato giuridicamente non ha in realtà alcun peso o proprietà oggettiva e misurabile, e spesso è controversa anche la stessa individuazione di ciò che deve essere messo sul piatto della bilancia. L’attitudine di questa metafora a descrivere o anche solo ad evocare in maniera adeguata il ragionamento giudiziale è stata perciò aspramente criticata. (94)

Di sicuro “bilanciamento” è formula ambigua, sotto svariati punti di vista. Liberiamo dunque il campo da una prima, possibile ambiguità.

Nessuno nega che nel diritto una attività di bilanciamento di qualche tipo tra diritti fondamentali sia frequente, legittima, e addirittura necessaria. (95) Tuttavia, si dice, tale attività per sua natura involge un grado di discrezionalità politica che è tipica (ed appropriata) solo nel legislatore e talvolta, in modo diverso, nella pubblica amministrazione. È assolutamente banale che i legislatori effettuino continui bilanciamenti tra diversi beni meritevoli di riconoscimento e regolamentazione giuridica: semmai ciò che è auspicabile è che i legislatori facciano bene questo lavoro, ossia, come usa ormai esprimersi la Corte costituzionale, che il legislatore distilli un bilanciamento “ragionevole”.

Le perplessità cominciano quando a bilanciare non sono più, o non solo, i soggetti che creano le leggi usando tutta la ponderata prudenza che è loro consentita (ed eventualmente anche con l’ausilio scientifico di appositi comitati tecnici) ma i soggetti che quelle leggi dovrebbero, meccanicamente, applicare: i giudici. La perplessità è in altre parole che i giudici, appropriandosi della tecnica del bilanciamento, prendano a svolgere un compito che è nella sostanza paralegislativo. (96)

È di questo tipo di bilanciamento che ci occuperemo in questa sezione: l’attività argomentativa e decisoria, e il prodotto di questa attività, svolta dalle corti quando debbano decidere un caso per il quale sono contemporaneamente rilevanti due diritti fondamentali in competizione.

Forse la misteriosa attività che si nasconde dietro la metafora del bilanciamento può essere più proficuamente indagata, analiticamente, disarticolando vari aspetti problematici distinti relativi al bilanciamento. E i principali aspetti problematici, mi pare, sono questi: 1) Cosa si bilancia; 2) Cosa vuol dire bilanciare; 3) Quanti tipi di bilanciamento siano configurabili; 4) Se sia possibile una ricostruzione razionale del bilanciamento.

 

 

4.1. Cosa si bilancia

 

Di certo, può accadere che si trovino in conflitto due diritti costituzionali, che pertanto debbano essere bilanciati. Tuttavia abbiamo visto (supra, § 3.3.1.) che un diritto costituzionale può entrare in conflitto anche con “cose” diverse, come un principio, o un interesse. Abbiamo visto pure, peraltro (§ 2.), che alle origini del bilanciamento sta l’idea che oggetto del giudizio di ponderazione siano interessi, emergenti in maniera quasi spontanea dall’analisi delle circostanze del caso.

L’idea che nel giudizio di bilanciamento possano entrare non solo diritti ma anche entità di meno nobile pedigree come gli interessi continua ad essere associata all’immagine del bilanciamento, e spesso è invocata proprio per screditare il ricorso a questa tecnica; si denuncia infatti il pericolo che il bilanciamento sia utilizzato per soppesare “cose” che non dovrebbero essere messe sullo stesso piano: i diritti o principi costituzionali da una parte, e gli interessi dall’altra. Questa preoccupazione risponde a condivisibili intendimenti, primo tra tutti la volontà di sottrarre i diritti fondamentali a calcoli utilitaristici, e a progressive erosioni operate in via interpretativa; (97) purtroppo però la distinzione tra (nobili) diritti e principi, e (volgari) interessi non è sempre così agevole.

In primo luogo, l’ovvia premessa dell’interrogativo stesso se un interesse sia bilanciabile con un diritto o principio costituzionale è che quell’interesse abbia un qualche tipo di copertura costituzionale (viceversa varrebbe il criterio gerarchico di soluzione del conflitto). Questa osservazione è banale, ma purtroppo non è decisiva. Infatti, gli enunciati contenuti nelle disposizioni costituzionali, fraseggiati in termini estremamente ampi e connotati in senso valutativo, si prestano (e comunque sono abitualmente sottoposti) ad interpretazioni decisamente estensive; questa caratteristica viene inoltre accentuata in un clima culturale (come quello che caratterizza molte culture giuridiche contemporanee, e anche quella italiana attuale v. supra, § 2.1.) incline alla iper-interpretazione della costituzione: in tal modo, numerosi interessi possono facilmente salire, in via interpretativa, ai piani alti della gerarchia delle fonti.

È ovvio che esistono diversi filtri che possono selezionare l’accesso degli interessi al livello costituzionale: penso ad esempio alla stessa formulazione linguistica delle disposizioni costituzionali, ai contenuti etici che si ritengono compatibili con la dimensione etica sostanziale dell’ordinamento, alle convenzioni argomentative accettate nella cultura giuridica. Tuttavia ciò che intendo dire è che, in un clima di cultura giuridica diffusamente “costituzionalizzata”, tali filtri operano in maniera decisamente più blanda che in altri contesti. (98)

In secondo luogo, una volta riconosciuto che un certo interesse può avere valenza costituzionale, diventa difficile distinguerlo da un diritto o un principio. Infatti, un interesse può avere una dimensione individuale, oppure una dimensione collettiva o addirittura “pubblica” e istituzionale: nel primo caso esso è difficilmente distinguibile da un diritto (si scorra la lista dei “nuovi” diritti fondamentali che di volta in volta sono stati tratti dall’art. 2 della costituzione: cosa distingue tali diritti dagli “interessi” se non, banalmente, il mero fatto che i primi sono stati riconosciuti tali dalla Corte costituzionale?), nel secondo caso è difficile distinguibile da un principio. (99) Nuovamente, l’opposizione dicotomica diritti/interessi sfuma.

In terzo luogo, ragionando non più sul piano della teoria delle fonti e dell’interpretazione, ma su un piano di politica del diritto, o anche sul piano di una disincantata teoria giusrealistica dei diritti, non si vede perché considerazioni relative alla “sostanza” di un diritto fondamentale dovrebbero (e potrebbero) essere sempre nettamente distinte da – e prevalenti su – considerazioni relative agli strumenti istituzionali che sono destinati a rendere effettivi i diritti stessi. Infatti, come già detto in precedenza, uno stesso diritto può avere molteplici articolazioni interne, può essere esercitato in varie modalità, non tutte delle quali si trovano ugualmente “vicine” al valore che giustifica il riconoscimento di quel diritto: alcune possono avere una importanza strumentale essenziale in vista di quel valore (e così ricadono nel “nucleo essenziale”), mentre altre possono avere un’importanza più indiretta. Se è così, non si vede perché si dovrebbe aprioristicamente escludere la possibilità di bilanciare – ad esempio – il diritto di difesa (in ogni sua possibile articolazione) con considerazioni relative all’efficienza dell’apparato giudiziario. (100)

L’unico modo per evitare l’esito indesiderato di bilanciare diritti fondamentali con considerazioni di altro tipo consisterebbe nel postulare (o istituire in via interpretativa) una gerarchia tra i valori costituzionali, o quantomeno nel sottrarre al bilanciamento il nucleo essenziale dei diritti fondamentali (ma incontrando, in entrambi i casi, le difficoltà già viste supra, § 3.2.1).

 

 

4.2. “Bilanciare”, “contemperare”, “sacrificare”

 

L’espressione metaforica del “bilanciamento” o “ponderazione” evoca due idee distinte, entrambe presenti nella tecnica del bilanciamento giudiziale dei diritti: per un verso, l’idea di assegnare un peso a qualcosa, e per altro verso l’idea di mettere in equilibrio, di contemperare qualcosa con qualcos’altro. Vediamo innanzitutto se questa seconda idea renda effettivamente giustizia di ciò che succede quando la tecnica del bilanciamento viene messa all’opera dalle corti.

È diffusa l’idea che l’operazione del bilanciamento debba tendere a rendere possibile la coesistenza di due principi o diritti in conflitto, trovando un punto di equilibrio. (101) L’uso ricorrente di questa terminologia metaforica maschera, credo, la difficoltà di non poter risolvere la contraddizione normativa dichiarando l’invalidità o l’abrogazione o la derogazione di una delle due norme in conflitto: entrambe sono valide, e restano valide anche dopo la soluzione del conflitto, ma una dovrà necessariamente prevalere; e se una prevale ma l’altra resta comunque valida, ciò deve significare (così si potrebbe pensare) che tra le due è stato trovato un compromesso, un punto di equilibrio.

Ad alcuni è sembrato comunque che la terminologia metaforica sia non solo confusa, ma anche fuorviante. Riccardo Guastini, in particolare, ha sostenuto che ciò che le corti fanno realmente quando dicono di bilanciare diritti o principi, non è assicurare l’armonica convivenza dei principi o diritti in conflitto, ma semplicemente sacrificarne uno a vantaggio dell’altro: bilanciamento sarebbe dunque sinonimo non di “contemperamento” o di “conciliazione”, ma di “accantonamento” o “soppressione” di un diritto a vantaggio di un altro (relativamente ad un caso concreto). (102) E si noti che non si tratta della proverbiale disputa tra chi vede il bicchiere (dei diritti) mezzo vuoto o mezzo pieno: ciò che si ricava dalla lettura di Guastini è piuttosto che, dopo il giudizio di bilanciamento, il bicchiere di uno dei due diritti è completamente vuoto.

Questa raffigurazione del bilanciamento non mi sembra del tutto convincente. Certo, l’idea di Guastini serve efficacemente a demistificare l’immagine semplice ed illusoria che l’interprete trovi quasi magicamente (e, spesso, con assai povero dispendio di argomentazione) una armonia tra diritti in conflitto. Tuttavia, l’idea che a seguito del bilanciamento si operi la soppressione di uno dei due diritti (beninteso, nel caso concreto) può essere interpretata, mi pare, in due modi. In primo luogo, può significare che non è concettualmente possibile conciliare due diritti in conflitto, ma solo farne trionfare uno a totale sacrificio dell’altro. In secondo luogo può significare che conciliare due diritti in conflitto è concettualmente possibile, ma che le corti di solito non riescono ad eseguire correttamente questa operazione, con la conseguenza che in definitiva il bilanciamento si risolve, di fatto, nel sacrificio di un diritto a vantaggio dell’altro.

La prima versione mi sembra difficilmente difendibile, perché presuppone una immagine quasi “entificata” (e, se non si trattasse di Guastini, direi essenzialista) dei principi o dei diritti costituzionali. Intendo dire che un diritto costituzionale non è una costruzione geometrica o (per usare una immagine meno nobile) un palloncino che se forato in qualsiasi punto esplode. Piuttosto, la disciplina di un diritto costituzionale comprende varie “ondate” (103) di diritti, facoltà, pretese, obblighi a carico di terzi, garanzie che dovrebbero assicurare il soddisfacimento dell’interesse o del valore che giustifica il diritto fondamentale. E si può ragionevolmente sostenere che questi diritti, facoltà, pretese, obblighi, garanzie non solo non siano tutti sempre precisamente predeterminabili (come abbiamo già visto supra, § 3.3.1.), ma altresì non abbiano tutti la medesima importanza (o il medesimo “peso”) in vista della soddisfazione dell’interesse o del valore che fonda il diritto fondamentale.

Se è così, non vedo ragione di affermare a priori che tutti gli obblighi, diritti, facoltà, pretese, garanzie che (ad esempio) si ramificano dall’uguaglianza formale debbano sempre avere più importanza di tutti gli obblighi, diritti, facoltà, pretese, garanzie che si ramificano dall’uguaglianza sostanziale. Da questo punto di vista, forse, la teoria (o molto più vagamente l’idea) del contenuto essenziale dei diritti fondamentali, pur inaccettabile nelle sue formulazioni più ingenue e “cognitiviste” (o ontologizzanti), può offrirci un’utile insegnamento sulla struttura dei diritti: che la disciplina di un diritto è cosa alquanto complessa, e che non tutto quello che vi sta dentro ha la stessa vicinanza con il nucleo centrale del diritto, la stessa importanza strumentale alla realizzazione del valore che giustifica quel diritto.

Se quanto detto è plausibile, allora non si può sostenere che ogni limitazione o sacrificio di un diritto sia per ciò stesso una soppressione di quel diritto; si metta a confronto l’imposizione di un obbligo di risarcimento a carico di chi ha diffuso notizie false sulla vita privata altrui, con l’obbligo di autorizzazione preventiva da parte dell’autorità politica sugli stampati destinati al pubblico: si tratta forse in entrambi i casi di soppressione della libertà di espressione? Vietare la circolazione dei veicoli con targa pari in certi giorni della settimana, o addirittura mettere un semaforo ad un incrocio, equivale ad accantonare la libertà di circolazione? Certamente, da un punto di vista logico si può sostenere che il diritto fondamentale DF includa al suo interno una serie indefinita di diritti impliciti DF1, DF2, DF3 ecc. (così, la libertà di espressione contiene al suo interno il diritto di scrivere romanzi, di fare inchieste giornalistiche, di scrivere sui muri con una bomboletta, di insultare, di raccontare in pubblico fatti privati e imbarazzanti su altre persone, ecc.), e che a seguito di bilanciamento alcuni di questi diritti impliciti cedano completamente a fronte di un altro diritto ritenuto più importante. Ma nuovamente, questo equivale a dire che il diritto DF, senza ulteriori qualificazioni, è stato sacrificato (104)?

La seconda versione è un giudizio di fatto, e come tale suscettibile di essere vero o falso sulla base di indagini empiriche condotte sulla motivazione delle sentenze in cui viene effettuata un operazione di bilanciamento. Ciò però presuppone l’aver ammesso la praticabilità concettuale dell’idea del bilanciamento, che anzi serve a distinguere tra buoni bilanciamenti (che hanno successo nel contemperare i diritti in conflitto) e cattivi bilanciamenti (che sacrificano del tutto uno dei due diritti). (105)

 

 

4.3. “Bilanciamento”: uno, due, nessuno o centomila

 

La forzatura della citazione pirandelliana nel titolo di questo paragrafo è presto spiegata. Si può infatti discutere se esista un solo tipo di bilanciamento, ma destinato a produrre (centomila) risultati proteiformi e imprevedibili – e pertanto nessuno (“bilanciamento” diventerebbe infatti una formula vuota) –, oppure se se ne possano codificare almeno due tipi, sufficientemente e sensatamente distinti.

Cercherò di mostrare che ha senso distinguere almeno due tipi di bilanciamento: mutuando la terminologia invalsa nella cultura giuridica statunitense, (106) distinguerò tra a) un bilanciamento “definitorio” o “categoriale” (definitional balancing), e b) un bilanciamento “caso per caso” (ad hoc balancing). Il passo immediatamente successivo sarà di vedere c) se tale distinzione abbia veramente senso, e d) se per caso non siano configurabili anche ulteriori tipi di bilanciamento.

 

 

4.3.1. Bilanciamento “caso per caso”

 

Nel caso del bilanciamento “caso per caso”, o bilanciamento ad hoc, il conflitto è risolto volta per volta, in base ad una valutazione degli interessi e delle circostanze specificamente prospettati dalle parti nel caso concreto.

Questo modo di concepire il bilanciamento è implicito ogniqualvolta si affermi che la soluzione del conflitto può essere raggiunta solo “per il caso concreto”, “per un caso dato”, “solo per il caso che si sta giudicando”, o espressioni simili. (107)

Una delle più lucide ricostruzioni di questa concezione del bilanciamento si deve a Riccardo Guastini, che ha sostenuto che il bilanciamento consiste nell’istituire tra i principi o diritti in conflitto una «gerarchia assiologica mobile» (108): in particolare, la gerarchia prodotta all’esito del bilanciamento giudiziale tra i due diritti o principi in conflitto è “assiologica” in quanto istituita tramite un soggettivo giudizio di valore dell’interprete (nel testo costituzionale i due diritti o principi sono equi-ordinati, quindi la gerarchia è estranea al testo), ed è “mobile” in quanto relativa al caso concreto e non necessariamente riprodotta in casi futuri (poiché i due diritti o principi in conflitto restano entrambi pienamente validi, nulla garantisce che in un caso futuro, anche uguale al precedente, la gerarchia non venga capovolta). Il bilanciamento sarebbe dunque foriero di una duplice discrezionalità: in primo luogo nel dare prevalenza ad un diritto rispetto ad un altro a scelta dell’interprete, e in secondo luogo nella possibilità di ribaltare tale ordine di precedenza in casi futuri. Come correttivo a questo eccesso di discrezionalità, Guastini suggerisce (come abbiamo visto supra, § 3.2.2.) di risolvere il conflitto tra principi in base al criterio di specialità: in tal modo si avrebbe una gerarchia (pur sempre assiologica, ma) rigida, e quindi un solo grado di discrezionalità.

La tesi di Guastini sul bilanciamento ha senza dubbio il pregio di mettere in luce l’aspetto fortemente valutativo di questa tecnica argomentativa, squarciando il velo retorico di cui essa solitamente si ammanta nelle motivazioni delle sentenze e che tenderebbe ad accreditarla come operazione dotata di precisione oggettiva. Tuttavia, come vedremo tra breve (§ 4.3.3.), è probabile che questa tesi riesca a cogliere solo una parte del fenomeno del bilanciamento.

Inteso il bilanciamento in senso casistico o particolaristico, nella soluzione del conflitto tra diritti non sembra esservi spazio per un ragionamento di tipo deduttivo, basato sull’applicazione di una regola: la decisione è apparentemente attinta tramite un apprezzamento equilibrato e approfondito (oppure, con sguardo meno “buonista”, tramite un apprezzamento del tutto soggettivo e idiosincratico) degli interessi in gioco, delle caratteristiche rilevanti del caso, del loro “peso”, e ulteriori considerazioni di questo tenore, e prescindendo dall’applicazione di una regola stabile di soluzione del conflitto. Ma su questo punto bisogna chiarirsi.

Affermare che il bilanciamento ad hoc sia relativo ad un caso concreto, senza che sia necessario (né opportuno) applicare una regola, (109) sembrerebbe veicolare l’idea che per ogni caso concreto, inteso come caso individuale appartenente ad uno stesso caso generico, (110) vale una decisione individualizzata, particolaristica. In altre parole, sembra suggerire che anche due casi concreti sufficientemente simili o addirittura identici possano e debbano essere decisi con un giudizio individualizzato, relativo esclusivamente al “qui e ora”, che può portare ad esiti differenti nei due casi. Ma che una decisione possa essere assunta in questo modo non è razionalmente sostenibile, e non credo che sia questo che si vuole sostenere da parte di chi afferma che la soluzione va data “caso per caso”, o “in relazione al caso concreto”.

Sarebbe infatti un nonsenso pretendere che a seguito di bilanciamento un caso venga deciso in un certo modo, e che un caso futuro dello stesso tipo (un altro caso individuale che rappresenta una instanziazione di uno stesso caso generico) sia deciso in un altro modo. Una simile concezione del bilanciamento ad hoc lo consegnerebbe alla pura irrazionalità. Non è possibile ricostruire razionalmente una decisione se non come applicazione di un criterio (una regola, uno standard) universalizzabile, che possa governare la decisione anche in un altro caso uguale. (111) Piuttosto ciò che i sostenitori del bilanciamento caso per caso intendono dire (pena l’irrazionalità) è che non si daranno mai casi uguali, casi che abbiano in comune tutte le proprietà rilevanti. In un ipotetico caso futuro potranno emergere (quasi inevitabilmente) ulteriori caratteristiche, interessi, ecc., che porteranno l’interprete ad assumere una decisione diversa.

È evidente dunque che anche nel caso di un bilanciamento ad hoc è stata comunque applicata una regola. Tuttavia tale regola è ritenuta applicabile ad una classe di casi generici che è costruita in maniera estremamente instabile: i casi futuri verranno facilmente considerati come instanziazioni di casi generici diversi. La generalizzazione resta costante solo coeteris paribus, esposta ad innumerevoli ed imprevedibili eccezioni. Il giudice si riserva così un ruolo quasi sapienziale ed equitativo (come traspare da espressioni frequenti in giurisprudenza quali “occorre individuare l’equo contemperamento tra gli opposti interessi”, “il conflitto deve essere risolto con una attenta valutazione degli interessi nel caso concreto”, e simili).

Ovviamente, il modo di funzionare del bilanciamento caso per caso può essere ricostruito anche mettendo l’accento sul carattere “opportunistico” sotteso a questa strategia decisoria: posto infatti che anche una decisione ad hoc è formalizzabile in termini di (applicazione di una) regola generale, la differenza rispetto alla decisione “definitional” allora è che nel primo caso il giudice non enuncia la regola, ossia: non dichiara di seguire una regola (anche giurisprudenziale) precostituita al giudizio, e non dice che il criterio per la decisione di quel caso specifico (quella regola) sarà applicabile a tutti i casi futuri con elementi simili. In casi di questo tipo, quindi, la decisione può comunque essere ricostruita in termini di applicazione di una regola universalizzabile, però il giudicante non è disposto ad esplicitarla (e quindi universalizzarla), in altre parole a legarsi le mani in casi futuri che potrebbero presentare peculiarità non previste. (112)

 

 

4.3.2. Bilanciamento definitorio

 

Nel caso del bilanciamento “definitorio” o “categoriale”, il conflitto tra i diritti o principi viene risolto individuando una regola generale ed astratta, tendenzialmente applicabile anche ai futuri casi di conflitto. Un bilanciamento definitorio può essere ricostruito come una metodologia decisionale che, pur contenendo margini valutativi, non si traduce necessariamente in sfrenato soggettivismo, in valutazioni idiosincratiche e particolaristiche adottate caso per caso, ma è invece controllabile razionalmente, e dà luogo a margini sufficientemente affidabili di prevedibilità delle decisioni giudiziarie.

Questo tipo di bilanciamento prevede che per ogni caso (generico) di conflitto tra due diritti fondamentali si possa individuare una regola che, fissate certe condizioni di applicazione, indichi la prevalenza di uno dei due diritti sull’altro, o comunque indichi le modalità di coordinamento dell’esercizio dei due diritti. La regola sarà applicabile a tutti i casi di conflitto che presentino le caratteristiche previste nella “fattispecie” della regola. In tal modo, il bilanciamento non sarebbe una attività decisionale del tutto aliena e incompatibile rispetto alla sussunzione, ma piuttosto un passo preliminare alla costruzione della premessa maggiore del sillogismo giudiziale, e pertanto prodromico all’applicazione sussuntiva di una regola. (113) La decisione assunta a seguito di bilanciamento sarebbe razionalmente controllabile al pari di una decisione adottata applicando una (qualsiasi altra) regola.

A questo punto si presentano tre interrogativi:

a) come si costruisce la regola nei casi di conflitto tra diritti;

b) se l’elaborazione della regola nei casi di conflitto tra diritti sia suscettibile di ricostruzione razionale;

c) cosa assicura che la regola così costruita sarà seguita in casi futuri.

Da un punto di vista concettuale questi tre interrogativi possono essere tenuti distinti, anche se le teorie del bilanciamento in circolazione di fatto provano a rispondere a tutti e tre. (114) Ai primi due interrogativi si cercherà di rispondere nel seguito di questo paragrafo (§§ 4.3.2.1. e 4.3.2.2.); al terzo nel paragrafo 4.3.3.1.

Parafrasando una distinzione alquanto diffusa a proposito del concetto di interpretazione, si può dire che nel prossimo paragrafo ci occuperemo del bilanciamento-prodotto, e nel successivo del bilanciamento-attività (ossia l’insieme dei procedimenti intellettuali messi all’opera per giungere a quel risultato). (115)

 

 

4.3.2.1. La regola del conflitto

 

Ciò che distingue la regola elaborata a seguito di bilanciamento definitorio rispetto a quella applicata in sede di bilanciamento caso per caso è il maggiore ambito di applicazione della prima rispetto alla seconda. Quest’ultima è infatti ritenuta applicabile solo al caso concreto (o meglio, come abbiamo visto, ad un caso generico costruito riproducendo esattamente le caratteristiche del caso individuale in cui si è verificato il conflitto tra diritti): poiché un caso futuro esibirà fatalmente alcune caratteristiche differenziali rispetto al precedente, ecco che si dovrà escogitare un’altra regola, un altro bilanciamento-prodotto.

La regola costruita a seguito di bilanciamento definitorio invece non riproduce esattamente le caratteristiche del singolo caso di conflitto, ma piuttosto esplicita, a partire da alcuni casi paradigmatici di conflitto tra diritti, alcune proprietà rilevanti che si ritengono comuni a diverse ipotesi di conflitto tra diritti (ovvero, si disegna una “topografia del conflitto”) (116). L’individuazione delle proprietà rilevanti comuni a vari casi paradigmatici di conflitti permetterà di affermare che non tutte le caratteristiche presenti in un caso concreto presente o futuro sono rilevanti, e quindi produttive di una nuova regola. Inoltre, le proprietà rilevanti presenti nei casi paradigmatici potranno guidare l’elaborazione di una regola diversa in casi che presentano ulteriori proprietà rilevanti, diverse da quelle già conosciute, oppure che non presentano alcune delle proprietà rilevanti presenti nei casi paradigmatici. (117)

In tal modo, esiste la possibilità di enucleare una regola che offra soluzioni riproducibili per tutti i casi analoghi di conflitto tra due principi che si ripresenteranno in futuro, quantomeno nei casi “centrali” o paradigmatici; si produce cioè una regola di coordinazione tra i due diritti o principi in conflitto, che è suscettibile di universalizzazione (ossia, è idonea a regolare casi futuri dotati di caratteristiche rilevanti analoghe) (118) e di sussunzione (ossia, è applicabile in maniera deduttiva, e quindi “logicamente” controllabile), pur trattandosi comunque di una regola suscettibile di revisione in presenza di ulteriori proprietà rilevanti.

L’individuazione della regola, inoltre, ha già di per sé l’effetto di rendere tendenzialmente meno “mobile” l’esito della ponderazione, perché alcune caratteristiche (non rilevanti) di un caso non saranno prese in considerazione ai fini dell’applicazione o della eventuale revisione della regola. Si inizia così a trasformare (quantomeno all’apparenza) il giudizio di bilanciamento da un giudizio “sapienziale” in un ragionamento “procedurale”. (119)

L’ovvio problema che si pone a questo punto è capire cosa mai permetta l’individuazione delle proprietà rilevanti e, se è per questo, cosa permetta la definizione stessa di alcuni casi come paradigmatici. Non si può negare che questa attività abbia una dimensione intuitiva, e che questa sia forse ineliminabile. (120) Però non si vede perché ritenere che questa componente sia esclusiva, o anche solo dominante rispetto ad altre componenti. Certamente, quando un partecipante competente alla pratica giuridica formula un giudizio a proposito di una situazione nuova, egli presuppone un senso diffuso di ciò che conta come caso simile e proprietà rilevante rispetto ai casi già conosciuti; in questo senso diffuso giocano un ruolo le convenzioni accettate nella cultura giuridica, i precedenti, e ovviamente i dati normativi, le fonti del diritto, nonché assunzioni sull’accettabilità sociale delle decisioni. Questa attività non è meccanica, è più simile al giudizio di analogia: coinvolge giudizi di valore, ma questo non vuol dire che sia un’attività del tutto discrezionale o arbitraria. (121)

 

 

4.3.2.2. (Ri)costruzione razionale della regola?

 

Ovviamente, con questo si è detto ancora abbastanza poco. Infatti, così come nel caso dell’applicazione sillogistica di una regola ciò che è veramente importante è la costruzione delle premesse (il sillogismo assicura la correttezza del passaggio dalle premesse alla conclusione, ma non la correttezza della costruzione delle premesse), il fatto che in ultima analisi la decisione in un caso di conflitto tra diritti possa assumere la forma dell’applicazione sillogistica di una regola non dice ancora nulla su come sia stata costruita quella regola: su come sia stato effettuato il passaggio (o il “salto”) da due diritti in conflitto ad una regola.

Inoltre, la circostanza che un certo conflitto tra due diritti sia di fatto risolto utilizzando costantemente un certo schema di soluzione (e quindi una regola) non implica di per sé che la costruzione della regola sia frutto di un procedimento razionale e non invece di mera intuizione. Il problema che ci poniamo adesso è appunto se la costruzione della regola che assegna priorità ad uno dei due diritti in conflitto sia frutto di ricostruzione razionale, o almeno sia assoggettabile a ricostruzione razionale.

Una prima risposta la conosciamo già, ed è la tesi di Guastini secondo cui la gerarchia tra diritti in conflitto sia istituita grazie a soggettivi giudizi di valore dell’interprete. (122)

Questa posizione è criticabile, come emerge anche dalla discussione svolta nel paragrafo precedente. Infatti, che l’ordine di preferenza tra i due diritti sia istituito tramite una valutazione in termini di “peso” o “importanza”, e quindi con un giudizio che ha innegabilmente un carattere assiologico e valutativo, non implica necessariamente che tale giudizio sia anche irriducibilmente soggettivo o addirittura solipsistico. Ciò equivarrebbe a negare che nella pratica giuridica esistano criteri intersoggettivi di controllo sull’ammissibilità degli argomenti assiologici che, contingenti e mutevoli quanto possono essere, possono tuttavia essere sensatamente avanzati pro o contro una certa decisione; (123) inoltre, ulteriori criteri possono essere desunti dal diritto positivo. D’accordo, tutti questi fattori non determinano sempre un risultato preciso e univoco; ma questo vuol dire che non giochino alcun ruolo e che la scelta dell’interprete è esclusivamente idiosincratica?

Una seconda risposta si trova all’estremo opposto, ed è la concezione del bilanciamento come procedura razionale di Robert Alexy, (124) secondo cui la procedura di bilanciamento possa essere ricostruita in maniera razionale e anzi che i suoi risultati siano quasi misurabili. Per Alexy il giudizio di bilanciamento è una parte dell’applicazione del più generale principio di proporzionalità. Quest’ultimo comprende infatti tre sotto-principi: adeguatezza (ossia, la verifica che un certo strumento, invasivo di un diritto fondamentale, sia adeguato o idoneo alla soddisfazione o protezione di un altro diritto fondamentale), necessità (ossia, la verifica che la soddisfazione del diritto concorrente non possa essere realizzata con modalità alternative meno gravose), e proporzionalità in senso stretto. La verifica della proporzionalità in senso stretto consiste propriamente nella regola della ponderazione o bilanciamento («Quanto maggiore è il grado di non soddisfazione di, o di interferenza con, un diritto, tanto maggiore deve essere l’importanza della soddisfazione dell’altro»).

Ora, secondo Alexy l’applicazione della regola della ponderazione può essere suddivisa in tre passaggi: al primo passaggio si stabilisce il grado di non-soddisfazione di uno dei due diritti; al secondo passaggio si stabilisce l’importanza della soddisfazione del diritto concorrente; al terzo passaggio si stabilisce se l’importanza di soddisfare quest’ultimo diritto giustifica l’interferenza o la non-soddisfazione del primo diritto.

Come si sarà notato, a questo punto dell’argomento iniziano a figurare elementi “quantitativi”: il grado della non-soddisfazione di un diritto, la “misura” dell’importanza o “peso astratto” dell’altro diritto; secondo Alexy, queste entità possono essere rese con grandezze quantitative, ad esempio collocandole in una scala triadica (violazione “grave”, “media”, “lieve” di un diritto; (125) importanza astratta “elevata”, “media”, “bassa” di ciascuno dei diritti in conflitto); inoltre, può essere resa con una grandezza quantitativa anche una terza serie di fattori rilevanti per l’applicazione della regola della ponderazione, ossia la affidabilità delle assunzioni empiriche che riguardano il grado di interferenza di un diritto sull’altro. Tutti questi elementi, tradotti in quantità numeriche, potranno essere disposti in una formula il cui quoziente darà la “formula del peso”, ossia rivelerà quale dei due diritti ha più peso dell’altro nel caso considerato. (126) Ecco che, secondo Alexy, la procedura del bilanciamento diventa assoggettabile ad un controllo razionale, analogo a quello della procedura di sussunzione: analogo ma non identico, perché la sussunzione funziona secondo le regole della logica, mentre la ponderazione secondo regole aritmetiche.

Qualche osservazione.

La prima osservazione, quasi banale, è che Alexy ripone eccessiva fiducia nella possibilità di tradurre in termini numerici il conflitto tra diritti. Ma questa sembra davvero una raffigurazione troppo semplicistica del conflitto tra diritti.

In primo luogo, per quanto riguarda la gravità dell’interferenza, possono esistere casi facili in cui essa sia praticamente evidente, ma è più probabile che non sia affatto chiaro se – e dal punto di vista di chi – una interferenza debba essere considerata lieve, media o grave. (127)

In secondo luogo, per quanto riguarda il peso astratto dei diritti in conflitto, se il documento costituzionale non contiene al suo interno una chiara gerarchia dei diritti allora l’attribuzione di peso astratto diverso a categorie diverse di diritti è una operazione che ha tutta l’opinabilità già evidenziata a suo luogo a proposito dell’idea dei principi costituzionali supremi (v. supra, § 3.2.1.); inoltre il conflitto può avere ad oggetto due diritti dello stesso tipo, e così questa variabile perde ogni importanza all’interno della formula del bilanciamento. Infine, la stessa idea del peso astratto è poco plausibile, visto che il conflitto si manifesta tra istanze specifiche dei diritti, istanze che a loro volta possono avere una importanza strumentale differente rispetto alla realizzazione dell’interesse che giustifica il diritto (cfr. supra, § 4.2.): detto in altri termini, raramente il conflitto vede contrapposti nella loro interezza i nuclei essenziali dei due diritti. Se questo è vero, allora questa variabile è poco importante, e addirittura potrebbe spesso falsare il calcolo.

In terzo luogo, l’apprezzamento della certezza empirica del grado di interferenza è una valutazione nella migliore delle ipotesi probabilistica se non soggettiva. Ovviamente, per evitare di naufragare nel mero soggettivismo, il giudice potrebbe rivolgersi ad indagini scientifiche e statistiche che diano un supporto di certezza scientifica alla sua valutazione; spesso tuttavia, questa speranza è destinata ad andare delusa: come mostra ad esempio la problematica sull’accertamento tecnico-scientifico del nesso di causalità in materia penale, in molti casi sufficientemente complessi l’indagine scientifica può dare un responso in termini solo probabilistici. (128)

Ovviamente non intendo sostenere che i fattori indicati da Alexy non possano e non debbano mai entrare in un giudizio di bilanciamento: tutt’altro. Piuttosto vorrei evidenziare che a questi fattori non si può attribuire l’esattezza numerica che Alexy suggerisce; e se l’attribuzione del valore numerico ha margini ineliminabili di opinabilità, allora l’intero calcolo ne viene falsato. Inoltre, l’attribuzione di un numero a questi fattori diventa una attività talmente dipendente dal caso concreto, da eludere quasi del tutto l’aspirazione ad una loro riproducibilità in contesti ulteriori.

La seconda osservazione è che il modello di Alexy è implausibile non solo perché (come abbiamo appena visto) è difficile e opinabile misurare quantitativamente le grandezze su cui si basa; quanto perché, a ben vedere, è impossibile fissare l’importanza di un diritto per un verso, e il grado di interferenza con un altro diritto per altro verso, con una valutazione svolta in astratto, un passo alla volta.

Intendo dire che non vedo come si possa sensatamente giudicare lieve o grave la lesione di un diritto, senza allo stesso tempo prendere in considerazione l’importanza del diritto concorrente. Si considerino i seguenti esempi di lesione dell’integrità fisica. Caso A: rottura di una gamba di Tizio da parte di Caio, che è franato rovinosamente su Tizio durante un ballo sfrenato e sotto l’effetto di parecchie birre. Caso B: rottura di una gamba di Tizio da parte di Caio, che ha investito Tizio guidando ad alta velocità mentre trasportava in ospedale una persona in gravissimo pericolo di vita. Caso C: rottura di una gamba di Tizio da parte di Caio, che ha investito Tizio mentre si precipitava a disinnescare una bomba collocata all’interno di un teatro affollato, o in una scuola. La lesione del bene “integrità fisica” di Tizio è la stessa, ma ritengo che la giudicheremmo grave nel primo caso, quantomeno media nel secondo, e forse addirittura lieve nel terzo. La scelta dell’esempio della lesione all’integrità fisica vorrebbe essere provocatoria: infatti una lesione all’integrità fisica è solitamente quantificabile (si pensi alle tabelle sul danno biologico adottate dai tribunali), e inoltre l’intergità fisica è (insieme alla vita) un bene di importanza apicale. In altre parole ho cercato di suggerire come una identica lesione di un bene di elevata importanza, e il cui godimento è ritenuto in qualche senso misurabile, sia suscettibile di essere ricondotta a livelli diversi di gravità (anche) in relazione al tipo di attività lesiva. Il gioco sarebbe stato molto più facile con diritti il cui contenuto non è esattamente definito e il cui esercizio è graduabile (come la libertà di circolazione), o il cui esercizio è fortemente legato alla visione del mondo del titolare (come la libertà religiosa).

Se è così, la distinzione tra le varie fasi del giudizio di bilanciamento, così come immaginata da Alexy, rischia di essere artificiosa perché potrebbe suggerire l’idea che nella prima fase i due diritti sono misurati in vacuo, e in tal modo viene attribuito un peso a ciascuno di essi, mentre solo nella seconda sono messi a confronto e quindi armonizzati. Vi sono invece buone ragioni per pensare che già nella prima fase il “peso” assegnato ad un diritto dipenda in buona misura dal peso che si ritiene di assegnare all’altro: (129) a meno, ovviamente, di cessare di considerare come puramente metaforica la nozione di peso, e sposare qualche forma ingenua di cognitivismo etico.

Tutto ciò rende dunque, a mio modo di vedere, difficilmente distinguibile la fase dell’ascrizione di un peso a quella della conciliazione/armonizzazione: una distinzione che forse è legittimamente sostenibile solo a fini di semplicità ricostruttiva ex post della decisione di bilanciamento, ma che rischia di mettere in ombra un aspetto importante, ossia il carattere reciproco e bilaterale dell’ascrizione di peso ai due diritti in conflitto. In altre parole, tenere distinte queste fasi si presta evidentemente al rischio di incorrere in un circolo vizioso, perché la gravità della lesione di un diritto è valutata in base all’importanza del diritto concorrente, ma anche l’importanza del diritto concorrente dipende dalla gravità della lesione arrecata all’altro diritto. (130) Il circolo vizioso può invece essere evitato con una considerazione unitaria del giudizio di bilanciamento, che lo avvicina all’idea rawlsiana di equilibrio riflessivo. (131)

Forse l’utilità della teoria di Alexy è la stessa che è di solito riconosciuta al modello del sillogismo giudiziario: nulla di più che una ricostruzione ex post di una decisione già presa, e che serve a rendere espliciti i passaggi di quella decisione. Ma questo, si badi, non per banali ragioni psicologiche ed empiriche (perché ciò che accade realmente nella testa dell’interprete è imperscrutabile), ma piuttosto per ragioni che definirei concettuali: perché non è possibile assegnare un peso ad un diritto separatamente dalla valutazione dell’interferenza che esso realizza con un altro diritto in conflitto, e viceversa.

 

 

4.3.3. Se la distinzione sia davvero sostenibile

 

Fin qui la ricostruzione di due modelli possibili di bilanciamento sembra piuttosto plausibile. Tuttavia occorre prendere in considerazione una obiezione assai insidiosa: che la distinzione tra un bilanciamento definitorio e un bilanciamento caso per caso sia mal costruita.

L’obiezione può presentarsi in due forme: in primo luogo, può mettere in dubbio che abbia concettualmente senso distinguere i due tipi di bilanciamento. In secondo luogo, può sottolineare che il bilanciamento definitorio assicura una guida solo illusoria, perché comunque i criteri di applicazione dovranno essere necessariamente specificati e adattati ai casi concreti: e quindi alla fine sarebbe pur sempre il caso concreto ad avere l’ultima parola. (Si tratta forse della stessa obiezione, però formulata nel primo caso in termini concettuali, nel secondo caso empirici).

In entrambi i casi, ciò che si vuole mostrare è che, a meno di non volerci ingannare e cullarci su rappresentazioni consolatorie, solo il bilanciamento caso per caso, con tutto il suo precipitato di incertezza e discrezionalità soggettiva, ha piena cittadinanza nell’universo giuridico.

 

 

4.3.3.1. Impossibilità concettuale di distinguere

 

Secondo la prima versione di questa obiezione, (132) la possibilità di tracciare questa distinzione dà per acquisito un passaggio che in realtà è tutt’altro che pacifico, e cioè che sia possibile tracciare in maniera definitiva la topografia del conflitto, ovvero esplicitare tutte le proprietà rilevanti nei casi di conflitto tra diritti fondamentali. Se si dovesse riconoscere, invece, che non è concettualmente possibile individuare in maniera definitiva l’insieme delle proprietà rilevanti (se la topografia del conflitto fosse a ben vedere una mappa dalle dimensioni infinite, oppure completamente bianca), allora l’individuazione della “regola” sarebbe illusoria perché, in un caso futuro abbastanza (ma non in tutto) simile a quello per il quale la regola è stata distillata, sarebbe possibile risolvere il conflitto in un modo diverso, applicare un’altra regola. In altre parole, resteremmo solo con bilanciamenti caso per caso: malleabili, imprevedibili, rimessi alle valutazioni soggettive degli interpreti.

Non ho nessuna difficoltà ad accettare l’idea dell’impossibilità concettuale di chiudere in maniera definitiva l’universo delle proprietà rilevanti. Non vedo però perché questo dovrebbe dissolvere la possibilità di un bilanciamento definitorio, e farlo collassare nel bilanciamento caso per caso.

Certo, il fatto che le corti (o alcune corti) abbiano adottato in un caso una certa regola come soluzione del conflitto tra diritti non è di per sé una garanzia che tale regola venga applicata anche in futuro, allo stesso modo in cui il fatto che – ad esempio – le corti interpretino costantemente una certa disposizione prendendo in considerazione esclusivamente il suo significato letterale non è di per sé una garanzia che in futuro le corti non sottopongano quella disposizione ad interpretazione estensiva, o restrittiva, o teleologica, in modo da trarne una norma diversa. Tuttavia quest’argomento può essere in un certo senso ribaltato: infatti, la circostanza che l’universo delle proprietà rilevanti sia potenzialmente infinito non implica necessariamente che il giurista-interprete debba o voglia caso per caso prendere in considerazione sempre nuove proprietà.

In altri termini, dal fatto che l’interprete possa prendere in considerazione un universo sterminato ed inesauribile di proprietà rilevanti per ciascun caso concreto, non segue che non possa fare a meno di farlo. E peraltro in ambito giuridico esiste tutta una serie di fattori (ragioni di economia processuale, esigenze di uguaglianza formale, di coerenza sistematica, di nomofilachia, di rispetto del precedente, un certo grado di conservatorismo nella mentalità professionale dei giudici, e così via), che possono invece spingere proprio nella direzione opposta, “conservatrice”, di indurre l’interprete a riprodurre un certo schema di chiusura delle proprietà rilevanti che abbia già dato buona prova di sé in precedenti applicazioni. (133)

Si dirà: (134) lo sforzo di costruire un modello teorico di bilanciamento definitorio è comunque destinato a girare a vuoto, perché di fatto le corti fanno ricorso a bilanciamenti caso per caso, e non a bilanciamenti definitori. Questa è una obiezione non concettuale, ma descrittiva e in ultima analisi empirica, suscettibile di essere verificata “sul campo”. Certo, se questa tesi descrittiva fosse assolutamente vera proietterebbe una luce sinistra sul concetto di bilanciamento definitorio, lo renderebbe un’idea vuota (come ci insegna la precarietà della distinzione analitico/sintetico) (135), e magari al servizio di pericolose illusioni. Ma io credo che uno sguardo alla pratica effettiva dei giuristi mostri che ci sia spazio per entrambi i modelli. Esistono infatti ambiti in cui il bilanciamento si è ampiamente consolidato in pratiche decisionali che si basano su griglie uniformi, ripetibili e ripetute, (136) e ambiti in cui il bilanciamento non perde un carattere particolaristico e orientato al “caso concreto”. (137)

Se le cose stanno così, non è allora inopportuno costruire un modello teorico che sia idoneo a rendere conto del fatto che le corti possono risolvere i conflitti tra diritti fondamentali secondo una modalità non particolaristica.

 

 

4.3.3.2. Difficoltà empirica di distinguere

 

Fin qui la questione concettuale e teorica. La distinzione però può essere messa in questione anche da un altro punto di vista: infatti si può notare che di fatto accade che i criteri in base ai quali effettuare il bilanciamento definitorio (le condizioni di applicazione della regola generata in seguito al bilanciamento) sono spesso formulati in maniera estremamente vaga e indeterminata, con clausole elastiche e termini valutativi (si pensi ad esempio al criterio dell’“interesse pubblico della notizia”, utilizzato dalla giurisprudenza italiana nel bilanciamento tra diritto di cronaca e reputazione). Ci si può chiedere dunque se un bilanciamento definitorio in cui la regola di soluzione del conflitto contenga elementi di questo tipo non finisca per essere, di fatto, un bilanciamento caso per caso.

Non è possibile dare una risposta definitiva a questa domanda, allo stesso modo in cui non è possibile dire in maniera definitiva se una regola che contiene clausole elastiche, elementi valutativi, concetti indeterminati, ecc., sia ancora una regola oppure uno standard di tipo diverso (ad esempio un principio). Per un verso, infatti, si sostiene che una regola che prevede eccezioni anche numerose non cessa di essere una regola. (138) Per altro verso, però, la differenza tra regole e principi è una questione di grado, e come per tutte le questione di grado, vi possono essere casi in cui non è chiaro se qualcosa sia una regola o un principio.

Se è così, allora tra bilanciamento caso per caso e bilanciamento definitorio passa la stessa differenza che c’è tra principi e regole: è una differenza di grado e relazionale, a seconda del maggiore o minore grado di “chiusura” delle condizioni di applicazione. Vi possono essere regole di soluzione del conflitto più rigide e regole più elastiche e sensibili alla varietà delle circostanze concrete di applicazione.

Quanto appena detto consente di trovare l’esatta collocazione di quello che talvolta è considerato un terzo tipo di bilanciamento: un bilanciamento definitorio o categoriale che risolve il conflitto imponendo al giudice di effettuare un bilanciamento ad hoc, magari sulla base di alcuni parametri indicati in via alquanto generale. (139) Nella letteratura costituzionalistica italiana si parla in proposito di “delega di bilanciamento in concreto”: (140) dove la delega a bilanciare caso per caso viene conferita dalla Corte costituzionale ai giudici comuni, indicando alcuni criteri di massima cui questi ultimi dovrebbero ispirarsi. Si tratta certamente di una figura interessante sotto alcuni profili (ad esempio sul piano della teoria delle fonti); non vedo però alcuna autonomia concettuale di questo “terzo” modello rispetto al bilanciamento ad hoc, specialmente nel caso in cui (come di solito accade) la “delega” debba essere attuata secondo criteri estremamente elastici, e non è niente di diverso dall’applicazione giudiziale di una regola che contiene clausole generali, o concetti elastici.

 

 

5. Conclusioni: vizi e virtù del bilanciamento

 

Oggi più che mai in qualsiasi epoca storica, l’umanità si trova a un bivio. Una strada conduce alla disperazione più assoluta; l’altra, alla totale estinzione. Preghiamo il cielo che ci dia la saggezza di fare la scelta esatta.

(W. Allen, Side Effects)

 

In questo saggio ho cercato di mostrare che il bilanciamento tra diritti fondamentali è: a) inevitabile, in quanto la necessità di operare un bilanciamento deriva da un fenomeno a sua volta pervasivo (il conflitto tra diritti fondamentali), è interna alla definizione stessa del contenuto dei diritti fondamentali, e inoltre ha un radicamento profondo in modelli anche tradizionali di ragionamento giuridico; b) suscettibile di ricostruzione razionale (anche se questa ricostruzione ne porta alla luce gli elementi discrezionali e forse anche intuitivi) e accettazione intersoggettiva; c) non necessariamente antinomico rispetto all’esigenza di assicurare un grado di prevedibilità alle decisioni giudiziarie.

Oltre ad essere inevitabile, si può aggiungere che il bilanciamento, come ha mostrato la vicenda del bilanciamento nella cultura giuridica americana, ha una natura primariamente “tecnica” (nel senso di tecnica argomentativa, beninteso): e in quanto tecnica, esso è in qualche misura neutrale rispetto alle finalità “politiche” che con essa si vogliono perseguire. (141) La tecnica del bilanciamento può essere usata – ed è stata usata – con finalità o effetti “liberali”, in vista dell’estensione dello spazio dei diritti e della restrizione dell’ambito di legittimo interventi del governo rispetto alle libertà individuali, o all’opposto con finalità o effetti di restrizione delle libertà individuali, perché al di là di formulazioni anche assolute vengono relativizzate assoggettandole a bilanciamenti caso per caso, e rese recessive a fronte di un interesse contrapposto.

Ma che il bilanciamento abbia una natura (politicamente neutra) di tecnica argomentativa, o retorica, non equivale a dire che l’uso di questa tecnica non produca conseguenze di altro tipo. Riconoscere che il bilanciamento abbia una potenza retorica non è senza effetto, perché può aprire spazi argomentativi che sono estranei (o sono molto ristretti) nel caso di altre tecniche argomentative; in fin dei conti, in questo saggio abbiamo già visto all’opera alcune tecniche argomentative che implicano una stessa logica (e in qualche misura la stessa logica del bilanciamento) e che però dispiegano una forza retorica posta al servizio di operazioni di politica del diritto diverse: mi riferisco alla teoria dei limiti impliciti o logici dei diritti fondamentali (che ha palesemente una finalità di limitazione e funzionalizzazione dei diritti fondamentali) e la teoria del contenuto essenziale (che invece ha una finalità di difesa di un nucleo irrinunciabile dei diritti).

Due brevi considerazioni conclusive, allora, sui possibili effetti della tecnica del bilanciamento.

La prima considerazione è che il bilanciamento mette in luce una caratteristica ineliminabile dei diritti e principi costituzionali, cioè che i diritti non vivono in isolamento, ma si trovano in una situazione di continua interazione potenzialmente conflittuale. Il bilanciamento stimola un approccio non “atomistico” ma (moderatamente) “olistico” ai diritti, che evidenzia le continuità, le sovrapposizioni, le intersezioni e i conflitti tra diritti, e che le scelte a favore di un diritto sono inevitabilmente “costose”: (142) in termini non solo di costi economici, ovviamente, ma anche di compressione di altri diritti. E, come ho cercato di evidenziare nel corso di questo saggio, questo ci offre un quadro più attendibile del funzionamento dei diritti.

La seconda considerazione (143) è che una cosa è riconoscere l’inevitabilità (e anche l’utilità) del bilanciamento, altra cosa è diventarne ostaggi. Proprio perché il bilanciamento contiene elementi discrezionali e intuitivi, è più che mai opportuno un uso “controllato” di questa tecnica. Inoltre, un uso onesto e trasparente di questa tecnica deve rendere chiaro che il bilanciamento implica appunto scelte costose, invece che occultarle dietro la dichiarata scoperta di un ordine oggettivo o intrinseco o, peggio ancora, logico, tra diritti. Infine, dire che i diritti costituzionali non sono degli “assoluti” non implica che possano essere sempre bilanciati: dire che un diritto possa entrare in conflitto con altri diritti o interessi non vuol dire che qualsiasi interesse possa sempre essere portato a bilanciamento con i diritti costituzionali.

Pertanto, se non vuole diventare una formula magica o una foglia di fico destinata a coprire un arbitrio inconfessabile, il bilanciamento richiede agli interpreti un adeguato sforzo argomentativo per esplicitare e giustificare le varie scelte (sull’individuazione dei casi paradigmatici, sulla rilevanza di casi nuovi e imprevisti, sulle conseguenze della limitazione di un diritto a favore di un altro, sull’importanza dei diritti in competizione, ecc.) che esso implica. Ciò richiederebbe, credo, di delineare i requisiti minimi di una teoria dell’argomentazione razionale, e altresì di una teoria del contenuto essenziale dei diritti costituzionali. Ma questo sarebbe un altro saggio.

 

 

Note

 

(*) Ringrazio Aldo Schiavello per la pazienza e l’attenzione con cui ha letto e commentato una versione precedente di questo saggio.

(1) Dopo qualche apparizione non sistematica già nei decenni precedenti, il tema del bilanciamento è stato portato con forza all’attenzione della cultura giuridica italiana da due lavori coevi, e giustamente celebri, di studiosi di diritto costituzionale: G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Einaudi, Torino, 1992; R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992.

Tra i teorici del diritto, la problematica era già stata introdotta da L. Gianformaggio, L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata su principi, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1985, pp. 65-103. Tuttavia il dibattito si è notevolmente intensificato a margine della posizione assunta da Riccardo Guastini, che a quanto mi risulta è stata formulata per la prima volta proprio in un commento al libro di Zagrebelsky appena menzionato: R. Guastini, Diritto mite, diritto incerto, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 1996, pp. 513 ss.

(2) Al momento uso i due termini come sinonimi e, come è reso manifesto dal testo, con riferimento ad attività argomentative svolte in sede giudiziale.

(3) Il carattere “sapienziale” di alcune concezioni del bilanciamento è messo in luce da B. Celano, Justicia procedimental pura y teoría del derecho, in «Doxa», 24, 2001, pp. 407-427.

(4) In particolare, per quanto riguarda la nozione di giustificazione razionale e di razionalità limitata, v. ora G. Maniaci, Razionalità e bilanciamento tra principi del diritto: un inventario, un’intuizione, una proposta, in «Ragion pratica», 25, 2005, pp. 335-364.

Con riferimento alle teorie del ragionamento pratico in generale, il punto più rilevante ai fini di una discussione sul bilanciamento tra diritti (o, più in generale, ragioni) è ovviamente se e in che misura esso abbia carattere particolaristico. Cfr. M.C. Redondo, Ragioni e norme, in «Ragion pratica», 25, 2005, pp. 439-468; B. Celano, Possiamo scegliere tra particolarismo e generalismo?, ivi, pp. 469-489.

(5) Si vedano ad esempio le direttive metodologiche articolate dalla c.d. “giurisprudenza degli interessi”, su cui K. Larenz, Storia del metodo nella scienza giuridica(1960), Giuffré, Milano, 1966, pp. 65-82; G. Fassò, La filosofia del diritto dell’Ottocento e del Novecento, il Mulino, Bologna, 19882, pp. 169-171.

(6) Si vedano ad es. O.W. Holmes, The Path of the Law, in «Harvard Law Review», 1897, pp. 457-478; R. Pound, A Survey of Social Interests, in «Harvard Law Review», 1943, vol. 57, pp. 1 ss.

Sul ruolo del giurista come ingegnere sociale e arbitro di conflitti di interessi nel realismo giuridico americano, v. G. Tarello, «Sociological Jurisprudence»(1970), in Id., Cultura giuridica e politica del diritto, il Mulino, Bologna, 1988, pp. 387-390; H.L.A. Hart, La jurisprudence americana attraverso gli occhi di un inglese: l’incubo e il nobile sogno(1977), in A. Schiavello, V. Velluzzi(a cura di), Il positivismo giuridico contemporaneo. Una antologia, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 229-248; R. Posner, The Decline of Law as an Autonomous Discipline: 1962-1987, in «Harvard Law Review», 1987, vol. 100, pp. 761-780.

Sul realismo giuridico americano in generale, G. Tarello, Il realismo giuridico americano, Giuffré, Milano, 1962; N. Duxbury, Patterns of American Jurisprudence, Clarendon Press, Oxford, 1995, spec. cap. 2; S. Castignone, C. Faralli, M. Ripoli(a cura di), Il diritto come profezia. Il realismo americano: antologia di scritti, Giappichelli, Torino, 2002(dove si può leggere anche una traduzione italiana del saggio di Holmes citato supra in questa nota).

(7) T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, in «Yale Law Journal», 1987, vol. 96, pp. 943-1005.

(8) Cfr. T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, cit., p. 962-963.

(9) A. Vespaziani, Il bilanciamento dei diritti nella cultura giuridica statunitense, in «Diritto pubblico», 2001, 2, pp. 457-515.

(10) L.B. Frantz, The First Amendment in the Balance, in «Yale Law Journal», vol. 71, 1962, pp. 1424-1450; Id., Is The First Amendment Law? A Reply to Professor Mendelson, in «California Law Review», 1963, vol. 51, pp. 729-754; T. Emerson, Toward a General Theory of the First Amendment, in «Yale Law Journal», vol. 72, 1963, pp. 877-956(critica del bilanciamento, identificato tout court con il bilanciamento ad hoc).

M. Nimmer The Right to Speak from Times to Time: First Amendment Theory Applied to Libel and Misapplied to Privacy, in «California Law Review», vol. 56, 1968, pp. 935-967(superamento del bilanciamento ad hoc in favore del bilanciamento definitorio).

(11) T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, cit.; J. Shaman, Constitutional Interpretation. Illusion and Reality, Greenwood Press, Westport and London, 2001, pp. 45 s.

(12) T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, cit., p. 944.

(13) P. McFadden, The Balancing Test, in «Boston College Law Review», vol. 29, 1988, pp. 585-656(spec. pp. 603-611).

(14) È notoriamente la tesi di P. Trimarchi, Illecito(diritto privato), in Enciclopedia del diritto, vol. XX, 1970, pp. 90-112(a p. 98).

In giurisprudenza, ampi riferimenti alla individuazione e ponderazione giudiziale dei vari interessi in conflitto nel giudizio di responsabilità civile si possono leggere in Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 22 luglio 1999 n. 500, in «Danno e responsabilità», 1999, pp. 965 ss.

(15) A. Gambaro, La proprietà. Beni proprietà comunione, Giuffrè, Milano, 1990, p. 387; U. Mattei, La proprietà, Utet, Torino, 2001, pp. 316-326.

(16) In proposito si veda F. Albeggiani, Profili problematici del consenso dell’avente diritto, Giuffré, Milano, 1995, pp. 20-26, 39-45, e cap. II.

(17) Così, M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I, Giuffrè, Milano, 1970, p. 481; G. Barone, Discrezionalità. I) Diritto amministrativo, in Enciclopedia Giuridica, vol. XI, 1989.

(18) Cfr. G. Corso, Il principio di ragionevolezza nel diritto amministrativo, in «Ars Interpretandi», 2002, 7, pp. 437-451.

(19) Questa è l’idea, palesemente debitrice di istanze provenienti dalla “giurisprudenza degli interessi” (cfr. supra, nota 5), di E. Betti, L’interpretazione della legge e degli atti giuridici (teoria generale e dogmatica) (1949), Giuffrè, Milano, 1971, pp. 266-270.

Cfr. invece R. Sacco, Il concetto di interpretazione del diritto (1947), Giappichelli, Torino, 2003, p. 56, per una critica all’idea che la valutazione comparativa degli interessi trovi nella norma una soluzione chiara, invece di richiedere un intervento “costruttivo” da parte dell’interprete.

(20) P. Trimarchi, Illecito, cit.

(21) Mi riferisco ovviamente a quella parte della dottrina (specialmente civilistica) che già dagli anni ’60 promuoveva una faticosa traduzione di alcune categorie ed istituti alla luce di principi costituzionali. Si vedano alcune idee seminali in R. Nicolò, Diritto civile, in Enciclopedia del diritto, vol. XII, 1964, pp. 904-921. Il nuovo programma fu quindi sviluppato con decisione da Stefano Rodotà (Il problema della responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1964, cap. III; Le fonti di integrazione del contratto, Giuffrè, Milano, 1965, pp. 163-175; Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, in «Rivista di diritto commerciale», 1967, I, pp. 83-125), utilizzando principalmente il principio di solidarietà, ricavato dall’art. 2 cost., al fine di integrare le clausole generali del danno ingiusto (art. 2043 c.c.) e della buona fede (art. 1175 c.c.).

(22) Per un più completo resoconto della stagione del “disgelo costituzionale” nella cultura giuridica italiana, si vedano M. Dogliani, Interpretazioni della costituzione, Franco Angeli, Milano, 1982, cap. 4; L. Ferrajoli, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1999.

(23) Per la distinzione tra queste due concezioni della costituzione, e le loro conseguenze sugli atteggiamenti degli interpreti, si veda G. Tarello, L’interpretazione della legge, Giuffrè, Milano, 1980, spec. pp. 331-338.

(24) Secondo la definizione di G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., p. 337, e di R. Guastini, La “costituzionalizzazione” dell’ordinamento italiano, in «Ragion pratica», 11, 1998, pp. 185-206.

Per alcuni cenni sulla stagione della “costituzionalizzazione” della civilistica italiana, v. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, il Mulino, Bologna, 2003, cap. I (con ulteriori riferimenti bibliografici).

Si tratta peraltro di una vicenda che ha investito, quasi in contemporanea, diverse culture giuridiche occidentali. Per alcuni cenni comparativi, v. A. Heldrich, G. Rehm, Importing Constitutional Values through Blanket Clauses, in D. Friedmann, D. Barak-Erez (eds.), Human Rights in Private Law, Hart, Oxford, 2001, pp. 113-128; R. Pardolesi, B. Tassone, Corte costituzionale, fonti e diritto privato: un’analisi comparativa, in «LE Lab – Laboratorio di analisi economica del diritto», www.law-economics.net.

(25) Se ne veda una efficace ricostruzione in R. Guastini, La “costituzionalizzazione” dell’ordinamento italiano, cit.

(26) In proposito, M. Dogliani, Interpretazioni della costituzione, cit., pp. 69-72; R. Guastini, La “costituzionalizzazione” dell’ordinamento italiano, cit., pp. 190-191, 200-202; Id., L’interpretazione dei documenti normativi, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 306-309.

(27) G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit. p. 337; R. Guastini, La “costituzionalizzazione” dell’ordinamento italiano, cit., pp. 188-190, 195-197; Id., L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 284-294.

(28) R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, in «Diritto & Questioni pubbliche», 2, 2002, www.dirittoequestionipubbliche.org, p. 123.

(29) Cfr. ad es. E. Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Giappichelli, Torino, 1996; Ead., Bilanciamento di interessi costituzionali e regole civilistiche, in «Rivista critica del diritto privato», 1998, 4, pp. 625-657; V. Scalisi, Ingiustizia del danno e analitica della responsabilità civile, in «Rivista di diritto civile», 2004, 1, pp. 29-56 (spec. pp. 54 ss.).

(30) A. Gambaro, Il diritto di proprietà, Giuffrè, Milano, 1995, pp. 505-508; U. Mattei, La proprietà, cit., pp. 326-329 (entrambi con riserve sull’applicabilità del rimedio di cui all’art. 844 c.c. in materia di tutela della salute).

(31) F. Albeggiani, Profili problematici del consenso dell’avente diritto, cit., cap. II.

(32) Il riferimento è, per l’Italia, al noto “caso Oneda”: Corte di Assise Cagliari 10 marzo 1982, in «Foro italiano», 1983, II, 27 (genitori Testimoni di Geova che si oppongono alle trasfusioni di sangue per la figlia minorenne talassemica).

Sulla possibilità di bilanciare i beni oggetto di tutela penale con la libertà religiosa, si vedano ad es. Vitale, Corso di diritto ecclesiastico. Ordinamento giuridico ed interessi religiosi, Giuffrè, Milano, 1996, pp. 232 s.; C. Visconti, Il prete ed il boss mafioso latitante: l’accusa di favoreggiamento val bene una messa?, in «Foro italiano», 1998, II, 287.

(33) A. Tesauro, Il bilanciamento nella struttura della diffamazione tra teoria del reato e teoria dell’argomentazione giudiziale, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2004, 4, pp. 1083-1126.

(34) La ricerca della ratio legis è considerata il primo passo del giudizio di bilanciamento tra diritti fondamentali ad es. da R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 20012, p. 487.

Per ulteriori riflessioni circa la contiguità tra ricerca della ratio legis e ricorso ai principi, cfr. E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 411 ss.; V. Velluzzi, Interpretazione sistematica e prassi giurisprudenziale, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 125 ss.

(35) Resoconto che è ampiamente debitore di J. Waldron, Rights in Conflict (1989), in Id., Liberal Rights. Collected Papers 1981-1991, Cambridge U.P., Cambridge, 1993; A. Pintore, Diritti insaziabili, in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Laterza, Roma-Bari, 2001, pp. 179-200; B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2004. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 53-74.

(36) Si veda ad es. H. Steiner, An Essay on Rights, Blackwell, Oxford, 1994, spec. cap. 3.

(37) Ad esempio, una drastica riduzione dell’ambito dei conflitti tra diritti è di solito individuata in J. Rawls, Una teoria della giustizia (1971), Feltrinelli, Milano, 1993; cfr. A. Marmor, On the Limits of Rights, in «Law and Philosophy», vol. 16, 1997, pp. 1-18; J.J. Moreso, Ferrajoli sobre los conflictos entre derechos, in M. Carbonell, P. Salazar (coord.), Garantismo. Estudios sobre el pensamiento jurídico de Luigi Ferrajoli, Trotta, Madrid, 2005, pp. 159-170.

(38) R. Nozick, Anarchia, stato e utopia (1974), Il Saggiatore, Milano, 2005, pp. 49-54.

Sulla implausibilità del modello nozickiano dei diritti, specialmente se applicato alla sfera dei diritti costituzionali, A. Marmor, On the Limits of Rights, cit.; B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 58-60; S. Besson, The Morality of Conflict. Reasonable Disagreement and the Law, Hart, Oxford, 2005, p. 429.

(39) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 277-369.

(40) L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 5-40 (a p. 5).

(41) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., pp. 293, 331.

(42) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., pp. 293, 295, 330.

(43) L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 12-18.

(44) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 292 (l’affermazione è in realtà testualmente riferita anche agli altri diritti di libertà, tuttavia in seguito Ferrajoli afferma l’esatto contrario, come vedremo subito; può quindi essere considerata un lapsus calami).

(45) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., pp. 328-330; si noti che Ferrajoli tende comunque a stemperare questa possibilità anche sul piano retorico, preferendo parlare di «limiti» anziché di conflitti (pur in un contesto in cui ammette esplicitamente la plausibilità della tesi del conflitto tra diritti).

(46) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., pp. 328-330; si noti che Ferrajoli tende comunque a stemperare questa possibilità anche sul piano retorico, preferendo parlare di «limiti» anziché di conflitti (pur in un contesto in cui ammette esplicitamente la plausibilità della tesi del conflitto tra diritti).

(47) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 330.

(48) P. Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti fondamentali, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2002-2003. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 317-329.

(49) Una critica di questo tipo, anche se non esattamente nei termini esposti nel testo, in J.J. Moreso, Ferrajoli sobre los conflictos entre derechos, cit.

(50) A dire il vero, questo tipo di conflitto è espressamente ammesso da Ferrajoli, come peraltro già accennato sopra nel testo. È degno di nota, comunque, che Ferrajoli indica tra gli esempi del conflitto tra diritti di libertà anche casi più correttamente inquadrabili come conflitti tra libertà e immunità, come quello tra manifestazione del pensiero da una parte e onore, reputazione, privacy dall’altra: cfr. I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 329.

(51) Ferrajoli, come abbiamo visto, considera questa ipotesi non come un conflitto tra diritti, ma come un problema di scelte meramente politiche (I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 329).

Non sono sicuro però che questa affermazione possa essere agevolmente conciliata con la tesi di Ferrajoli che la mancanza della garanzia di un diritto sociale sia una vera e propria (e indebita) lacuna, e non una mera omissione politica (Diritti fondamentali, cit., pp. 30-31). Se è così, non si vede perché una disciplina per così dire asimmetrica dei diritti sociali non possa essere una antinomia, e quindi un conflitto tra diritti (sociali). Si pensi all’ipotesi in cui, essendo necessaria la somma 100 per apprestare la garanzia del diritto alla salute e altresì l’ulteriore somma 100 per la garanzia del diritto all’istruzione, i pubblici poteri stanzino tuttavia la somma totale di 100 per apprestare la garanzie di entrambi: perché mai questa dovrebbe essere una mera scelta politica, mentre una eventuale decisione dei pubblici poteri di non apprestare alcuna garanzia ad entrambi i diritti sociali sarebbe invece una «indebita lacuna»?

(52) Gli esempi esposti nel testo rimandano ad una difficoltà, ravvisata nella teoria di Ferrajoli, relativa alla nozione di indisponibilità dei diritti fondamentali: cfr. R. Guastini, Tre problemi di definizione, e M. Jori, Aporie e problemi nella teoria dei diritti fondamentali, in L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., rispettivamente alle pp. 43-48 e 77-107.

(53) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 329.

(54) L. Ferrajoli, I fondamenti dei diritti fondamentali, cit., p. 292.

(55) Su cui B. Celano, Come deve essere la disciplina costituzionale dei diritti?, in S. Pozzolo (a cura di), La legge e i diritti, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 89-123.

(56) Alcune delle quali sono esposte e criticate, sotto il nome di “modello irenistico”, in B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 65-71.

(57) «[L’]unità […] preesiste all’opera di bilanciamento, ed è propriamente la specifica unità ideale che fu trovata (e di volta in volta si rinnova) sul terreno dell’identificazione dei valori costituzionali»: così M. Luciani, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in R. Romboli (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Giappichelli, Torino, 1991, pp. 170 ss. a p. 176 (citato in G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, in «Giurisprudenza costituzionale», 1998, pp. 3953-4000, a p. 3998).

(58) Una delle prime formulazioni di questa teoria risale al c.d. “caso Lüth”: BverfGE 7, 198 (1958).

In generale, v. R. Alexy, Teoría de los derechos fundamentales (1986), Centro de estudios políticos y constitucionales, Madrid, 2001, pp. 152-157, 507-510; A. Cerri, I modi argomentativi del giudizio di ragionevolezza delle leggi: cenni di diritto comparato, in AA.VV. Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della corte costituzionale. Riferimenti comparatistici, Giuffré, Milano, 1994, pp. 131-161.

(59) La Corte ha ripetutamente affermato, ad esempio, che «l’uguaglianza […] è principio generale che condiziona tutto l’ordinamento nella sua obiettiva struttura»: cfr. le sentenze nn. 25/1966, 2/1969, 15/1975, 68/1980, 975/1988, 87/1992 (corsivo aggiunto).

(60) Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, si vedano ad es. le sentenze nn. 1146/1988, 203/1989.

(61) Nella dottrina costituzionalistica, cfr. almeno P. Grossi, Inviolabilità dei diritti, in Enciclopedia del diritto, vol. XXII, 1972, pp. 712-731; M. Luciani, I diritti fondamentali come limiti alla revisione costituzionale, in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 121-129; F.P. Casavola, I principi supremi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in «Foro italiano», 1995, V, cc. 153-161; F. Modugno, I «nuovi diritti» nella Giurisprudenza Costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995, pp. 101-107; Id., Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in «Costituzionalismo.it», 3/2005, www.costituzionalismo.it; P. Caretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 93, 141.

Per un riesame disincantato di questo orientamento (che ad oggi è probabilmente maggioritario): A. Pace, La garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici «comuni», in AA.VV., Nuove dimensioni dei diritti di libertà, Cedam, Padova, 1990, pp. 109-126; M. Troper, La nozione di principio sovracostituzionale, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 1996. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 255-274; R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Giuffrè, Milano, 1998, pp. 379-385.

(62) S. Bartole, La Corte pensa alle riforme costituzionali?, in «Giurisprudenza costituzionale», 1988, pp. 5571 ss.; F. Rimoli, Costituzione rigida, potere di revisione e interpretazione per valori, in «Giurisprudenza costituzionale», 1992, spec. pp. 3770-3789.

(63) Cfr. J. Waldron, Rights in Conflict, cit.

(64) Sulla implausibilità dell’idea di una gerarchia astratta o di un ordine logico di priorità tra diritti costituzionali, R. Bin, Diritti e fraintendimenti, in «Ragion pratica», 14, 2000, pp. 15-25.

(65) Cfr. ad es. Corte costituzionale n. 445/1990, che dal diritto fondamentale alla salute fa derivare «situazioni giuridiche soggettive diverse in dipendenza della natura e del tipo di protezione che l’ordinamento costituzionale assicura al bene dell’integrità e dell’equilibrio fisici della persona umana in relazione ai rapporti giuridici cui in concreto si riferisce»: in particolare si potrà individuare un profilo (più forte e tutelabile erga omnes) attinente alla difesa dell’integrità psico-fisica, ed un profilo (graduabile «a seguito di un ragionevole bilanciamento con altri interessi o beni che godono di pari tutela costituzionale» e anche in base alle risorse disponibili) relativo al diritto a ricevere trattamenti sanitari.

(66) B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 67-68.

In maniera credo analoga, la dottrina costituzionalistica tedesca ha sostenuto che la definizione del “contenuto essenziale” di ogni diritto fondamentale include necessariamente anche la considerazione dei limiti imposti dal sistema costituzionale complessivamente considerato: cfr. A. Cerri, I modi argomentativi del giudizio di ragionevolezza delle leggi: cenni di diritto comparato, cit., p. 153.

(67) A. Marmor, On the Limits of Rights, cit., pp. 9-14; R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, cit., p. 118; A. Pintore, I diritti della democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 101; J. Waldron, Security and Liberty: The Image of Balance, in «The Journal of Political Philosophy», vol. 11, 2003, pp. 191-210 (spec. pp. 197-198).

(68) Per una recente discussione pro e contro lo specificazionismo, cfr. rispettivamente H. Richardson, Specifying Norms as a Way to Resolve Concrete Ethical Problems, in «Philosophy & Public Affairs», 1990, pp. 279-310; R. Shafer-Landau, Moral Rules, in «Ethics», vol. 107, 1997, pp. 584-611.

(69) R. Martin, A System of Rights, Clarendon, Oxford, 1993, pp. 114-126, 123, 231; D. Mendonca, Los derechos en juego. Conflicto y balance de derechos, Tecnos, Madrid, 2003, pp. 84-85.

(70) Cfr. J. H. Ely, Flag Desecration: A Case Study in the Roles of Categorization and Balancing in First Amendment Analysis, in «Harvard Law Review», vol. 88, 1975, pp. 1482-1508; F. Schauer, Categories and the First Amendment: A Play in Three Acts, in «Vanderbilt Law Review», vol. 34, 1981, pp. 265-307.

(71) Per un (notevole) esempio italiano di questa strategia, si veda P. Nuvolone, Reati di stampa, Giuffrè, Milano, 1951, spec. cap. I («poiché critica significa dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui, sarà estraneo all’attività critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato da una mera animosità personale, e che trovi, pertanto, la sua base in una avversione di carattere sentimentale e non in una contrapposizione di idee», p. 19).

(72) Così ad esempio si è espressa la Corte costituzionale sin dalla sua istituzione: cfr. sentenza n. 1/1956: «il concetto di limite è insito nel concetto stesso di diritto».

(73) Così, R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 295; Id., L’interpretazione della costituzione, in «Giurisprudenza costituzionale», 2006 (cfr. anche infra, § 4.3.1.).

(74) «Ciò sarebbe una sorta di combinazione della gerarchia assiologica con il criterio di soluzione delle antinomie detto “lex specialis” (sia pure in assenza di qualsivoglia relazione da genere a specie tra le fattispecie disciplinate)» (R. Guastini, L’interpretazione della costituzione, cit.).

(75) J. Shaman, Constitutional Interpretation, cit., pp. 36 ss.

(76) Per più estese argomentazioni in tal senso, B. Celano, Come deve essere la disciplina costituzionale dei diritti?, cit.; B. Pastore, Per un’ermeneutica dei diritti umani, Giappichelli, Torino, 2003, cap. IV.

(77) U. Scarpelli, Il linguaggio e la politica dei giuristi (1972), in «Notizie di Politeia», 71, 2003, pp. 8-11.

(78) Il fatto che l’individuazione di limiti impliciti ai diritti costituzionali presupponga una operazione di bilanciamento è espressamente ammesso ad es. da R. Romboli, Il significato essenziale della motivazione per le decisioni della Corte costituzionale in tema di diritti di libertà pronunciate a seguito di bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti, in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 206-220 (p. 207).

(79) Argomenti in parte analoghi mi pare siano sviluppati da Andrei Marmor, in relazione alla concezione “newtoniana” dei diritti (ossia l’idea che ogni diritto si muova liberamente in uno spazio morale vuoto, fino a che non incontra il limite esterno derivante dalla collisione con un altro diritto: On the Limits of Rights, cit., p. 7); da Anna Pintore, in relazione all’idea che ogni diritto sia una “monade impenetrabile” (I diritti della democrazia, cit., p. 102); da Roberto Bin, in relazione ai discorsi sui diritti condotti “per etichette e figurini” (Diritti e fraintendimenti, cit., p. 15 e ss.).

(80) Cfr. A. Pintore, Diritti insaziabili, cit., p. 199.

(81) Cfr. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 295: «Istituire una gerarchia rigida non è cosa diversa dall’istituire una scala di valori». Non mi è chiaro come questa idea sia conciliabile con le acute critiche più volte avanzate da Guastini alle concezioni sostanzialistiche della costituzione.

(82) A. Cerri, Appunti sul concorso conflittuale di diverse norme della Costituzione, in «Giurisprudenza costituzionale», 1976, pp. 272 ss.; N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, pp. 11, 39; G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., p. 170; B. Celano, Come deve essere la disciplina costituzionale dei diritti?, cit.; M. Barberis, I conflitti fra diritti tra monismo e pluralismo etico, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2005. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 2006.

(83) Come suggerisce ad es. J. Waldron, Rights in Conflict, cit.

Come detto nel testo, comunque, questa osservazione non può essere generalizzata; di fatto, la più risalente giurisprudenza costituzionale italiana sui “limiti impliciti” (cfr. supra, § 3.2.2.) sembra ispirata proprio dall’intenzione di limitare i diritti costituzionali, in ragione di considerazioni di interesse pubblico.

(84) La ricostruzione dei conflitti esposta in questo paragrafo segue in parte R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 485-486; S. Besson, The Morality of Conflict, cit., pp. 430-436.

In filosofia morale sono state elaborate tipologie più sofisticate di conflitti tra diritti (cfr. ad es. F. Kamm, Conflicts of Rights: Tipology, Methodology and Non-Consequentialism, in «Legal Theory», vol. 7, 2001, pp. 239-255); devo rimandare ad altra occasione una verifica puntuale della loro applicabilità all’ambito dei conflitti tra diritti (giuridici).

(85) Cfr. A. Ross, Diritto e giustizia (1958), Einaudi, Torino, 1965, pp. 122-125; C. S. Nino, Introduzione all’analisi del diritto (1980), Giappichelli, Torino, 1996, pp. 242-246; G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., pp. 143 ss.; R. Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, cit., pp. 217-219.

Non affronto qui il problema se i conflitti tra diritti siano (sempre, o solo a volte) contraddizioni logiche; questo problema si interseca con quello delle antinomie, poiché secondo alcune definizioni (cfr. ad es. P. Chiassoni, La giurisprudenza civile. Metodi d’interpretazione e tecniche argomentative, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 274-275), una antinomia è una contraddizione logica tra norme.

(86) R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 244-246; S. Besson, The Morality of Conflict, cit., pp. 434-435.

(87) R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 244.

(88) Ulteriori dubbi sull’applicabilità della tipologia delle antinomie di Guastini (e di Ross) ai conflitti tra principi sono formulati da L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación, in Id., Justicia constitucional y derechos fundamentales, Trotta, Madrid, 2003, pp. 175-216 (spec. pp. 181-188).

(89) Il sospetto è corroborato, peraltro, dalla circostanza che Guastini usa il medesimo esempio come istanza sia di antinomia “in astratto” che di antinomia “parziale unilaterale”: cfr. L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 244 e 246.

(90) Per ulteriori osservazioni su questo punto, v. infra, § 4.2.

(91) Cfr. anche L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación, cit., p. 185; P. Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti fondamentali, cit.; v. invece R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 218 e 252, per la tesi della totale riconducibilità dei conflitti tra principi costituzionali alle antinomie parziali bilaterali in concreto.

(92) In modo credo simile, Chiassoni osserva che le antinomie parziali bilaterali sono, da un punto di vista logico, antinomie totali implicite: ciò in quanto l’antinomia intercorre tra norme nessuna delle quali è stata espressamente formulata dal legislatore, ma che sono logicamente implicite in altre norme esplicite: P. Chiassoni, La giurisprudenza civile, cit., pp. 278-279.

(93) Come ad es. ritiene R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 217.

(94) P. McFadden, The Balancing Test, cit., pp. 628-632; D. Mendonca, Los derechos en juego, cit., pp. 59-63.

(95) Cfr. B. Celano, Diritti fondamentali e poteri di determinazione nello stato costituzionale di diritto, in «Filosofia politica», 2005, pp. 427-441.

(96) «[Definitional balancing] may be criticized as a form of judicial lawmaking, and as such a usurpation of the legislative function» (M. Nimmer, The Right to Speak from Times to Time, cit., p. 947); «Esa tarea de los tribunales no dista mucho de la legislación» (P. de Lora, Tras el rastro de la ponderación, in «Revista Española de Derecho Constitucional», 2000, pp. 359-369, a p. 367).

(97) Come nota, a diverso proposito, Riccardo Guastini, la gerarchia tra due norme è funzione della prevalenza dell’una sull’altra, e non viceversa (Teoria e dogmatica delle fonti, cit., p. 125). Se è così, allora bilanciare i diritti costituzionali con considerazioni di altro tipo (e dall’incerta collocazione costituzionale) equivarrebbe a “declassarli” allo stesso livello di queste ultime.

(98) «Non è mai troppo difficile ricondurre anche il più particolare e marginale degli interessi a qualche principio o a qualche disposizione costituzionale»: R. Bin, Bilanciamento degli interessi e teoria della costituzione, in V. Angiolini (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 45-63 (p. 48); v. anche G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, cit., p. 3958.

(99) Cfr. A Ruggeri, Principio di ragionevolezza e specificità dell’interpretazione costituzionale, in «Ars Interpretandi», 2002, pp. 261-324 (pp. 313-315); G. Itzcovich, L’integrazione europea tra principi e interessi, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2004, 2, pp. 385-424.

(100) Cfr. R. Bin, Diritti e fraintendimenti, cit., p. 24.

(101) G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., pp. 11-15; L. Mengoni, L’argomentazione nel diritto costituzionale, in Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Giuffrè, Milano, 1996.

Nella giurisprudenza costituzionale più recente, si veda Corte Costituzionale, n. 284/2004: l’autorità giudiziaria deve tener conto «non solo delle esigenze delle attività di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell’applicazione delle regole comuni […] Pertanto “il giudice non può, al di fuori di un ragionevole bilanciamento fra le due esigenze, entrambe di valore costituzionale, della speditezza del processo e della integrità funzionale del Parlamento, far prevalere solo la prima, ignorando totalmente la seconda” (sentenza n. 263 del 2003)».

(102) Così, R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 219.

(103) Per usare la suggestiva terminologia di J. Waldron, Rights in Conflict, cit.

Una immagine diversa, ma che ritengo ugualmente illuminante del modo di funzionare dei diritti, è offerta da Roberto Bin (Diritti e fraintendimenti, cit., p. 17): «la definizione del ‘diritto’ non è come una pentola, rispetto alla quale un determinato fenomeno sta dentro o fuori, tertium non datur. Si comporta piuttosto come un ombrello durante un forte acquazzone: vi è un punto in cui la protezione è massima, e poi, via via che ci si allontana da esso, la tenuta diviene sempre meno efficiente; è persino difficile dire in che punto si è totalmente fuori dall’ombrello, anche perché in buona parte dipende dal vento».

(104) Credo che l’unica possibile replica a quanto affermato nel testo potrebbe consistere nel sostenere che ad ogni diritto corrisponda un solo obbligo a carico di terzi - come peraltro sembra affermare, ad altro proposito, R. Guastini, ‘Diritti’, in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 1994. Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, Torino, 1995, pp. 163-174 (v. spec. p. 164). Mi manca lo spazio per argomentare in maggiore dettaglio, ma una simile concezione dei diritti – e specialmente dei diritti costituzionali – mi sembra del tutto implausibile.

(105) Mi pare che Guastini, dopo aver a lungo sostenuto l’idea della impossibilità concettuale di “conciliare” due diritti o principi (cfr. Teoria e dogmatica delle fonti, cit., pp. 230-231), aderisca adesso alla più debole tesi empirica (L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 219, alle note 60 e 61).

(106) M. Nimmer, The Right to Speak from Times to Time, cit. (a cui si deve la formula “definitional balancing”); T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, cit., spec. pp. 979-981; R. Bin, Diritti e argomenti, cit., pp. 65-71; G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, cit.

(107) Cfr. ad es. P. Chiassoni, La giurisprudenza civile, cit., p. 287; P. Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti fondamentali, cit., p. 327; G. Itzcovich, L’integrazione europea tra principi e interessi, cit.; G. Maniaci, Razionalità e bilanciamento tra principi del diritto: un inventario, un’intuizione, una proposta, cit., pp. 342-353 (che parla giustamente di «ossessione del caso concreto»).

Nella letteratura costituzionalistica: R. Romboli, Il significato essenziale della motivazione per le decisioni della Corte costituzionale in tema di diritti di libertà pronunciate a seguito di bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti, cit., spec. p. 210; L. Mengoni, L’argomentazione nel diritto costituzionale, cit., pp. 122-123; G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, cit., p. 3965; A. Ruggeri, Principio di ragionevolezza e specificità dell’interpretazione costituzionale, cit., p. 314.

(108) Così R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., pp. 216-221, 252-253, 295-296.

(109) L’affermazione che nel bilanciamento ad hoc non si dia luogo ad applicazione di una regola è ricorrente: cfr. ad es. M. Nimmer, The Right to Speak from Times to Time, cit., p. 939.

(110) Per una definizione più rigorosa della distinzione tra caso individuale e caso generico, v. C. Alchourrón, E. Bulygin, Sistemi normativi. Introduzione alla metodologia della scienza giuridica (1971), Giappichelli, Torino, 2005, pp. 32-35.

(111) Sulla irrazionalità di una decisione valevole solo per il caso concreto, N. MacCormick, Ragionamento giuridico e teoria del diritto (1978), Giappichelli, Torino, 2001, pp. 119-120; J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, in «Diritto & Questioni Pubbliche», 2, 2002, www.dirittoequestionipubbliche.org, p. 14; per l’applicazione di questa idea al bilanciamento, cfr. M. Barberis, Filosofia del diritto. Un’introduzione teorica, Giappichelli, Torino, 20052, pp. 249-250; B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., pp. 68-69.

(112) In alcuni casi tuttavia l’omessa esplicitazione della regola sottostante può essere non solo o non tanto il frutto di una scelta autocratica del giudice (che si appropria così di porzioni di potere decisionale), ma può anche essere demandata ai giudici di merito dal legislatore o dalla Corte costituzionale (la c.d. “delega di bilanciamento in concreto”: v. infra, § 4.3.3.).

(113) In tal senso cfr. ad esempio J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit., p. 13; J.J. Moreso, Conflitti tra principi costituzionali, in «Ragion pratica», 2002, 18, pp. 201-221; Id., Dos concepciones de la aplicación de las normas de derechos fundamentales, in J. Betegón, J. De Paramo, L. Prieto Sanchís (comp.), Constitución y derechos fundamentales, Centro de estudios políticos y constitucionales, Madrid, 2004, pp. 473-489; L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación, cit.

(114) Ad esempio, la posizione di Guastini (già esaminata supra, § 4.3.1.) è che a) la regola sia costruita con un soggettivo giudizio di valore; b) dipendendo da un soggettivo giudizio di valore, la costruzione della regola non è assoggettabile a ricostruzione razionale; c) nulla assicura che la regola sia seguita in futuro.

(115) Sulla distinzione tra interpretazione-attività e interpretazione-prodotto, A. Ross, Diritto e giustizia, cit., p. 111; G. Tarello, L’interpretazione della legge, cit., pp. 39-42.

Per l’applicazione di questa distinzione al bilanciamento, cfr. ad es. G. Parodi, In tema di bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale. In margine a Diritti e argomenti di Roberto Bin, in «Diritto pubblico», 1995, pp. 203-223; J. Rodriguez de Santiago, La ponderación de bienes e intereses en el Derecho Administrativo, Marcial Pons, Madrid, 2000, cap. 3.

(116) Riprendo l’efficace espressione da R. Bin, Diritti e argomenti, cit., pp. 62-64, 70-71 e passim.

(117) M. Atienza, Giuridificare la bioetica. Una proposta metodologica, in «Ragion pratica», 1996, 6, pp. 123-143; J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit.; J.J. Moreso, Conflitti tra principi costituzionali, cit.; Id., Dos concepciones de la aplicación de las normas de derechos fundamentales, cit.

(118) Sul concetto di universalizzazione nel ragionamento giuridico, cfr. N. MacCormick, Ragionamento giuridico e teoria del diritto, cit., pp. 75 s.; Id., Universalisation and Induction in Law, in C. Faralli, E. Pattaro (eds.), Reason in Law, vol. I, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 91-105.

(119) Cfr. B. Celano, Justicia procedimental pura y teoría del derecho, cit.

(120) Cfr. B. Celano, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, cit., p. 71.

(121) Cfr. nuovamente J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit.; e J.J. Moreso, Conflitti tra principi costituzionali, cit.

Quanto detto nel testo presuppone a) che i giudizi di valore non siano necessariamente espressione di punti di vista radicalmente soggettivi e incommensurabili, ma che in alcuni casi possano avere una funzione conoscitiva; e b) che sia possibile distinguere tra giudizi di valore interni ed esterni ad una pratica. In merito, cfr. V. Villa, Legal Theory and Value-Judgements, in «Law and Philosophy», vol. 16, 1997, pp. 447-477.

(122) R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 219.

Una raffigurazione del bilanciamento come attività pressoché arbitraria è offerta anche da J. Habermas, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia (1992), Guerini, Milano, 1996, p. 308.

(123) Cfr. ad es. P. Chiassoni, La giurisprudenza civile, cit., p. 287, a proposito delle “gerarchie assiologiche”: «Il valore delle regole dipende dalle ideologie che informano l’esperienza giuridica, o un suo particolare settore, in un dato momento».

(124) R. Alexy, Teoría de los derechos fundamentales, cit.; Id., Diritti fondamentali, bilanciamento e razionalità, in «Ars Interpretandi», 7, 2002, pp. 131-144; Id., On Balancing and Subsumption. A Structural Comparison, in «Ratio Juris», vol. 16, 2003, pp. 433-449; Id., La formula per la quantificazione del peso nel bilanciamento, in «Ars Interpretandi», 10, 2005, pp. 97-123.

Si tratta di una ricostruzione non priva di seguito, sia tra i giuristi positivi che tra i teorici del diritto: v. ad es. R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 487-489; J. Rodriguez de Santiago, La ponderación de bienes e intereses en el Derecho Administrativo, cit., pp. 121-141; L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación, cit., p. 190, S. Besson, The Morality of Conflict, cit., pp. 451-453.

(125) Lo stesso criterio di valutazione si dovrà applicare anche al diritto che causa la lesione, in questo modo: occorrerà valutare se impedire l’atto che causa l’interferenza con il diritto leso sia a sua volta una interferenza grave, media o lieve con quel diritto. Così, il fatto che A eserciti la sua libertà di espressione rivolgendo l’epiteto «storpio» a B, persona diversamente abile, rappresenta una interferenza grave con la dignità di B; per converso, impedire ad A di rivolgere a B l’epiteto «storpio» rappresenta solo una interferenza lieve nei confronti della sua libertà di espressione (l’esempio, tratto da un noto caso discusso dalla giurisprudenza costituzionale tedesca, è in R. Alexy, On Balancing and Subsumption, cit.).

(126) Per un esempio di sviluppo e applicazione della formula del peso, si veda R. Alexy, On Balancing and Subsumption, cit.

Si noti che la formula di Alexy, vincolando il giudizio di bilanciamento alle caratteristiche esibite da ciascun caso concreto, finisce per essere un bilanciamento caso per caso. Infatti, Alexy dice che se la scala dell’intensità dell’interferenza deve prevedere un numero minimo di almeno due grandezze, può comunque essere ampliata a piacimento, in modo da renderla sempre più precisa e calibrata alle circostanze del caso concreto. E in tal modo la possibilità di prendere in considerazione indefinitamente nuove caratteristiche del caso concreto resta sempre in agguato. In altre parole, è una formula che serve solo a rendere esplicito ciò che è stato fatto in occasione della soluzione di un caso concreto.

(127) Per ulteriori argomenti sul punto, cfr. C. Bernal Pulido, Estructura y límites de la ponderación, in «Doxa», 26, 2003, pp. 225-238.

(128) Su queste problematiche, cfr. ampiamente G. Fiandaca, Il giudice di fronte alle controversie tecnico-scientifiche. Il diritto e il processo penale, in «Diritto & Questioni pubbliche», 5, 2005, www.dirittoequestionipubbliche.org.

(129) «Le ragioni assumono un peso solo nel loro contrasto, e nel loro bilanciamento»: B. Celano, Possiamo scegliere tra particolarismo e generalismo?, cit., p. 487, nt. 38.

(130) Cfr. L. Prieto Sanchís, El juicio de ponderación, cit., p. 190; S. Besson, The Morality of Conflict, cit., p. 453.

(131) J. Rawls, Una teoria della giustizia, cit., pp. 56-58.

(132) Per questa critica, cfr. B. Celano, ‘Defeasibility’ e bilanciamento. Sulla possibilità di revisioni stabili, in «Ragion pratica», 2002, 18, pp. 223-239; Id., Possiamo scegliere tra particolarismo e generalismo?, cit.

Nella letteratura costituzionalistica, l’impossibilità o l’inutilità di delineare uno spazio autonomo per il bilanciamento definitorio rispetto a quello ad hoc (che sarebbe l’unico veramente configurabile) è sostenuta ad es. da T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, cit., pp. 979-980; R. Romboli, Il significato essenziale della motivazione per le decisioni della Corte costituzionale in tema di diritti di libertà pronunciate a seguito di bilanciamento tra valori costituzionali contrapposti, cit., pp. 206-220; G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, cit., p. 3967 s.

(133) S.L. Hurley, Coherence, Hypothetical Cases, and Precedent, in «Oxford Journal of Legal Studies», 1990, vol. 10, pp. 221-251; J.C. Bayón, Why Is Legal Reasoning Defeasible?, cit.; G. Zagrebelsky, Diritto per valori, principi o regole? (a proposito della dottrina dei principi di Ronald Dworkin), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», vol. 31, 2002, pp. 865-897.

Quanto detto nel testo mi sembra affine al ruolo che Cass Sunstein attribuisce agli “incompletely theorized agreements” nel diritto: cfr. C. Sunstein, Incompletely Theorized Agreements, in Id., Legal Reasoning and Political Conflict, Oxford University Press, Oxford, 1996, pp. 35-61.

(134) Una critica di questo tipo è rivolta, mi pare, da Paolo Comanducci alla ricostruzione del bilanciamento proposta da Moreso (cfr. supra, testo relativo alle note 113 e 117), e in favore di una ricostruzione particolaristica del bilanciamento: P. Comanducci, Problemi di compatibilità tra diritti fondamentali, cit.

(135) W.V.O. Quine, Due dogmi dell’empirismo (1951), in P. Casalegno, P. Frascolla, A. Iacona, E. Paganini, M. Santambrogio (a cura di), Filosofia del linguaggio, Raffaello Cortina, Milano, 2003, pp. 110-135.

(136) Estremamente rappresentativa in tal senso è la giurisprudenza, ormai più che ventennale, in materia di conflitto e bilanciamento tra libertà di espressione e tutela della personalità: v. G. Pino, Il diritto all’identità personale, cit., cap. III.

(137) Il tratto particolaristico sembra caratterizzare, ad esempio, la ponderazione degli interessi in gioco da parte della giurisprudenza sull’abuso del diritto: v. G. Pino, Il diritto e il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso del diritto, in «Rivista critica del diritto privato», 2004, 1, pp. 25-60.

(138) H.L.A. Hart, Il concetto di diritto (1961), Einaudi, Torino, 2002, p. 164.

(139) Cfr. T.A. Aleinikoff, Constitutional Law in the Age of Balancing, cit., p. 948, nt. 31.

Si veda ad es. Corte costituzionale, n. 293/2000, dove si demanda al giudice ordinario (penale) il bilanciamento tra libertà di espressione e il valore della «dignità di ogni essere umano».

(140) Cfr. R. Bin Giudizio «in astratto» e delega di bilanciamento «in concreto», in «Giurisprudenza costituzionale», 1992, pp. 3574 ss.; G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, cit., pp. 3969-3972.

(141) Cfr. K. Sullivan, Post-Liberal Judging: The Roles of Categorization and Balancing, in «University of Colorado Law Review», vol. 63, 1992, pp. 293-317; J. Shaman, Constitutional Interpretation, cit., p. 48.

(142) Ovviamente questo non equivale a dire che debbano necessariamente essere i giudici (e nemmeno i soli giudici costituzionali) a bilanciare i diritti; di fatto, questo potrebbe essere un argomento a favore della tesi che il bilanciamento debba essere svolto solo dal legislatore. In ogni caso l’argomento è neutrale rispetto alla individuazione dei soggetti competenti a bilanciare.

(143) Anche questa considerazione è indipendente dall’individuazione del soggetto che effettua il bilanciamento.