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Pola (in croato Pula, in sloveno Pulj, in istroveneto Pola, in istrioto Puola) è una città croata di 62.378 abitanti (2006), la maggiore dell'Istria.

Pola è un importante centro portuale. Tra le attività industriali prevalenti vi sono l'industria alimentare, i cantieri navali ed i cementifici. Il monumento più importante è l'Arena (anfiteatro romano), che funge anche da simbolo per la città ed è tra gli anfiteatri antichi di età romana meglio conservati.

Storia

Istri, Romani, Ostrogoti, Bizantini

Sorta forse su un antico castelliere, si sviluppò in età romana (I secolo a.C.) succedendo all'antica Nesactium, massimo centro degli Istri, situata a una decina di km dall'attuale abitato. Pola fu città fiorente, dotata di prestigiose strutture urbane (fra cui un ampio foro, un arco trionfale, un anfiteatro e due teatri) ed ornata di templi cui si aggiunsero, nei primi secoli dell'era volgare, alcune basiliche cristiane. Sconvolta dalle invasioni barbariche (V secolo), la città entrò, successivamente, nell'orbita dell'Impero Romano d'Oriente (VI secolo). Nella Serenissima Repubblica di Venezia (1331-1797)

Nel 1177 si costituì in libero comune, anche se nell'ambito della sfera di influenza di Venezia cui doveva pagare un tributo annuale; ma solo nel 1331 entrò a far parte definitivamente della Serenissima Repubblica di Venezia e vi restò per quasi cinque secoli. Subì anche un terribile assedio da parte dei genovesi nel 1379.

Venezia controllò Pola dal 1331 fino al suo tracollo nel 1797. Per la sua posizione strategica Pola fu utilizzata come porto intermedio tra l'Oriente e Venezia. Le galee veneziane provenienti dall'oriente scaricavano a Pola i loro cannoni per ridurre il pescaggio, in considerazione dei bassi fondali del Canal Grande a Venezia. Le galee veneziane nel tragitto inverso dirette in oriente andavano a Pola a caricare i cannoni. Il periodo napoleonico (1797-1814)

Passò in seguito al Trattato di Campoformio all'Impero Austriaco dal 1797 al 1803. Nel 1803 Pola fu occupata dai Francesi, e quindi posta sotto il governo di Trieste. Nel 1805, per decisione di Napoleone, Pola passò sotto il Regno Italico. Dopo la sconfitta di Napoleone nel 1813 e la caduta del Regno Italico ritornò sotto il dominio dell’Impero Austriaco.

Il periodo asburgico (1814-1918)

Dopo il Congresso di Vienna, Pola fu assegnata all'Impero Austriaco.

Vero punto di svolta per la città furono gli eventi del 1848-49 e la cessione di Venezia all'Italia nel 1866. L'Austria-Ungheria, infatti, fece di Pola la propria base navale militare principale, in sostituzione di Venezia. La costruzione dell'Arsenale fu iniziata nel 1853 assieme a vari potenziamenti del porto. Nell'arco di meno di mezzo secolo Pola, che nella prima metà dell'Ottocento non arrivava a contare 18.000 anime, si trasformò in una città arrivando a più di 41.000 verso la fine del secolo.

Navi da guerra austriache a Pola

Questo provocò la scomparsa della tipica parlata di questo territorio, l'Istrioto, sostituita dal dialetto istroveneto, piuttosto simile al triestino.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale Pola fu dichiarata "Zona di guerra" ed una parte dei suoi abitanti di etnia italiana venne internata nei Barackenlager della Stiria. Vi furono molte incursioni italiane, sia aeree, sia di mezzi d'assalto della Regia Marina in una delle quali venne fatto prigioniero e poi giustiziato sul patibolo della città il 10 agosto 1916 il patriota capodistriano Nazario Sauro. L'ultima incursione italiana, ribattezzata Impresa di Pola, portò all'affondamento della corazzata austriaca Viribus Unitis pochi giorni prima della firma dell'armistizio. L'annessione avvenne il 5 novembre 1918, ad opera delle milizie italiane, sbarcate nella vicina Fasana.

Pola nel Regno d'Italia (1918-43)

Alla fine della Prima guerra mondiale, l'Italia ottenne la sovranità sulla Venezia Giulia, di cui Pola divenne una delle nuove province, a sigla PL.[1] In queste terre funzionarono, tra le altre, la scuola elementare Dante, le scuole tecniche, le scuole magistrali, il ginnasio-liceo Carducci, lo stadio Littorio con la squadra del Fascio Giovanni Grion, fondata nel 1918 quando il fascio era ancora un simbolo mazziniano, e che si alternò tra la Prima Divisione, Serie B e Serie C. In città si pubblicava Il Corriere Istriano. Con l'avvento del fascismo, nacquero la casa balilla, i gruppi della Gioventù Italiana del Littorio (GIL) e dei Gruppi Universitari Fascisti (GUF). Nell'agosto 1933 si inaugurò la stagione lirica estiva dell'Arena di Pola, curata dall'ing. Gianni Bartoli Della Telve, futuro primo sindaco democratico di Trieste. La prima opera rappresentata fu Nozze istriane di Antonio Smareglia, compositore polese. Le rappresentazioni attirarono spettatori da tutta l'Istria ma anche da Trieste via piroscafo.

L'occupazione tedesca (1943-45)

L'8 settembre 1943 il IX Corpus Sloveno, inquadrato nella IV Armata jugoslava e forte di 50.000 uomini, informato per tempo dell'imminente proclamazione dell'armistizio dell'8 settembre, attraversò le Alpi Giulie per dilagare nel Carso e nell'Istria, puntando su Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, approfittando dello sbando delle truppe italiane.

La riconquista del territorio giuliano fu effettuata (9 settembre - 15 ottobre) dalle truppe naziste con l'operazione Volkenbruch ("Nubifragio"), impiegando tre divisioni corazzate SS e due divisioni di fanteria (una delle quali turkmena), che respinsero il IX Corpus infliggendogli perdite pari a circa 15.000 tra effettivi e fiancheggiatori e distruggendo gli abitati utilizzati dagli jugoslavi come basi di appoggio; l'operazione si concluse il 15 ottobre 1943, consentendo agli Italiani, nel frattempo in fase di riorganizzazione dopo l'8 settembre, di ispezionare almeno parte dei siti nei quali, nel frattempo, erano stati infoibati i connazionali.[senza fonte]

La Provincia di Pola, così come quelle di Trieste, Gorizia, Fiume, nonchè quella di Udine e quella autonoma, costituita su terra slovena, di Lubiana, furono incluse nell'Adriatisches Küstenland, costituito il 10 settembre 1943 e comprendente un territorio nominalmente ancora soggetto alla sovranità italiana ma posto sotto amministrazione militare tedesca, affidata al Gauleiter Friedrich Rainer e al suo Gruppenfuhrer SS Odilo Lothar Globocnik (nato a Trieste nel 1904 da famiglia originaria di Tržič - all'epoca chiamata Neumarkt -, nell'Alta Carniola) già Comandante delle SS e della Polizia del distretto di Lublino, ed edificatore di Sobibór e Treblinka, responsabile, tra l'altro, della Risiera di San Saba.

Nell'interno, nacquero le prime formazioni partigiane italiane, che combatterono contro l'occupazione nazista ma dovettero guardarsi anche dai partigiani slavi, ostili agli italiani. Le foibe assunsero, da allora, la sinistra e terrificante connotazione che le avrebbero rese l'emblema del tentato genocidio del 1945-1947. Nacque anche un movimento partigiano comunista e filo-jugoslavo, che sostenne il progetto di una "settima repubblica federativa autonoma" italiana all'interno della Jugoslavia.

Il 9 febbraio 1943, verso le 11.30, Pola subì la prima incursione aerea con bombardamento a tappeto. Nonostante la massima parte della popolazione riuscisse a salvarsi nei rifugi antiaerei, i morti furono più di settanta, tra cui Aldo Fabbro, 25enne polese calciatore del Napoli. I 45 giorni dei partigiani titini (1945)

Nella primavera 1945, dopo la ritirata dei tedeschi, Pola fu invasa dalle milizie partigiane jugoslave. Il Comitato Popolare di Liberazione (CPL) annunciò l'avvenuta annessione alla Jugoslavia. La redazione e la tipografia de Il Corriere Istriano furono utilizzati per stampare Il Nostro Giornale, quotidiano filo-jugoslavo in lingua italiana. In questo periodo iniziarono delle vere e proprie persecuzioni nei confronti degli autoctoni italiani, favorendone l'esodo in massa.

Pola Zona A di occupazione alleata (1945-47)

I confini orientali italiani dal 1945 ad oggi. Si noti in rosso la Linea Morgan, che divise la regione nel maggio 1945 in Zona A e Zona B in attesa delle decisioni del Trattato di pace con l'Italia (1947). Pola era un'exclave nell'Istria meridionale, e faceva parte della "Zona A"

Il 6 giugno 1945, l'accordo Alexander-Tito assegnò Pola come exclave raggiungibile solo via mare all'interno della Zona A del Territorio libero di Trieste, di occupazione alleata, comprendente anche Gorizia, Trieste e Monfalcone. Il resto dell'Istria e Fiume furono invece assegnati all'occupazione militare jugoslava. Il 12 giugno, anziché il 10 come previsto, gli alleati entrarono a Pola. La città attirò rifugiati italiani dal resto dell'Istria, rimasta sotto occupazione jugoslava. Rinacquero in città tutti i partiti, associazioni, sindacati italiani, già soffocati dal fascismo, e poi repressi dai nazisti e dai titini. In agosto nacque la sezione della Democrazia Cristiana di Pola, con Attilio Craglietto, già preside del liceo Carducci e fondatore, in maggio, del Comitato Cittadino Polese per difendere l'italianità della città, e con don Edoardo Marzari, già presidente del CLN di Trieste. Vennero fondate anche sezioni del Partito Socialista, del Partito d'Azione, del Partito Liberale. Il Comitato Cittadino Polese si trasformò in Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e prese contatti con il CLN di Trieste e i giuliani residenti a Roma. Guido Miglia diresse il nuovo quotidiano L'Arena di Pola, contraltare a Il Nostro Giornale. Nacque anche il settimanale Democrazia. Nei due brevi anni di occupazione alleata Mario Mirabelli Roberti, direttore del Museo dell'Istria, riuscì a far ricostruire il Tempio di Augusto e il Duomo, appena prima che la città passasse nuovamente agli jugoslavi. Il 22 marzo 1946, giunsero in città i commissari (un russo, un francese, un inglese e un americano) della Commissione per lo studio dei confini della Venezia Giulia, emanazione della Conferenza Alleata dei Ministri degli Esteri per la definizione dei confini. Per l'occasione in piazza Foro si confrontarono una manifestazione spontanea della popolazione polese per l'Italia e una manifestazione filo-jugoslava, composta in realtà principalmente di persone venute dai paesi dell'interno della Jugoslavia con pullman organizzati dai comunisti stessi. La polizia del Governo Militare Alleato separò le due fazioni evitando in tal modo lo scontro.

Nel 1946, Carlo Schiffer pubblicò una Carta dei limiti nazionali italo-jugoslavi, in cui riporta, per la popolazione del vasto distretto di Pola, un totale di 87.787 abitanti, di cui 54.074 (64%) italiani, 27.102 (32%) serbo-croati, 771 sloveni, 1.110 altri stranieri. Nell'area urbana di Pola, quella occupata dagli angloamericani, la popolazione era italiana per quasi il 90 %.

L'esodo della maggioranza italiana

Alla conferenza di Parigi, già nell'estate 1946 apparve chiaro che il compromesso avrebbe consegnato l'Istria e Pola alla Jugoslavia, Gorizia e Monfalcone all'Italia, mentre Trieste con una fascia di territorio limitrofo sarebbe divenuta Stato indipendente. La popolazione a Pola restò incredula e divisa tra pessimisti, per i quali ormai tutto era perduto, e ottimisti, che non vedevano come, dopo due anni di tutela anglo-americana, la città potesse essere di nuovo abbandonata agli slavi. Il 26 luglio 1946 il CLN di Pola raccolse 9.496 dichiarazioni familiari scritte, per conto di complessivi 28.058 abitanti su un totale di circa 31.000, di voler abbandonare Pola qualora venisse assegnata alla Jugoslavia. Le firme del CLN di Pola furono citate da De Gasperi nel suo discorso al Palazzo di Lussemburgo a Parigi.

Domenica 18 agosto 1946, alle ore tredici, sulla spiaggia di Vergarolla dentro il porto di Pola, diverse (forse ventotto) mine, già disattivate, scoppiarono improvvisamente. I morti furono almeno ottanta, imprecisato il numero dei feriti. L'indagine alleata stabilì che non poteva essersi trattato di un incidente, ma nessuno ha mai saputo veramente cosa fosse successo. La decisione collettiva dell'esodo era già stata chiaramente manifestata prima dello scoppio, tuttavia la realtà, dalle tinte apocalittiche, della strage, sicuramente poté aver provocato nei polesani la sensazione che, qualora fossero restati in città, in caso di passaggio alla Jugoslavia, avrebbero certamente corso un serio pericolo. Solo nel 1997, grazie all'interessamento della piccola comunità italiana rimasta a Pola, venne collocato un cippo nel parco del Duomo, con la laconica iscrizione Vergarola - 18.08.1946 - 13 h. - Grad Pula - 1997 - Città di Pola.

Nell'inverno 1946-47, il CNL di Pola convinse il governo italiano ad inviare la motonave Toscana e altri sei motovelieri al giorno, per il trasporto delle masserizie della moltitudine in procinto di abbandonare la città. Altri venti vagoni ferroviari al giorno sarebbero partiti da Pola per l'Italia, attraversando tutto il territorio istriano già sotto occupazione jugoslava. Nacque l'ipotesi di far esodare una comunità di coltivatori a Fertilia, in Sardegna, e di ospitare i lavorati dell'arsenale al porto di Taranto.

Il CLN di Pola trattò con il governo di Alcide De Gasperi anche a proposito della necessità di chiedere l'autodeterminazione per i territori giuliani, al fine di conservare Pola e l'Istria all'Italia. Ma lo Stato italiano non si sentì forse in grado di controllare le condizioni specifiche di eventuali plebisciti, che in Istria, dove era ancora vivo il terrore delle foibe, si sarebbero svolti sotto le minacce e le intimidazioni degli jugoslavi che la occupavano militarmente[senza fonte]. Con ogni probabilità temette inoltre che, giocando la carta del plebiscito, avrebbe perso l'Alto Adige abitato in maggioranza da tedeschi[senza fonte]. Anche il CLN di Trieste fu cauto, e così i giuliani stabilitisi a Roma.

La carta della disperazione, per gli italiani dell'Istria, fu quella proposta dall'avvocato Franco Amoroso, di Parenzo, molto vicino al CLN di Pola, già promotore del plebiscito e spesso non in sintonia con De Berti. Amoroso propose che l'Italia rinunciasse a Gorizia e Monfalcone, e che le offrisse al nascente Territorio Libero di Trieste, a condizione che la Jugoslavia avesse fatto lo stesso con la costa occidentale dell'Istria. Lo Stato libero sarebbe nato in tal modo molto più forte e gli italiani dell'Istria occidentale, costituendo la maggioranza assoluta della popolazione, sicuramente sarebbero rimasti nelle proprie terre. Anche gli italiani già fuggiti sarebbero potuti tornare nei paesi di origine. La proposta non ebbe però seguito.

Il 10 febbraio 1947, giorno della firma del trattato di Pace, Maria Pasquinelli, un'insegnante di origine toscana, uccise esacerbata il generale inglese Robin de Winton, comandante della guarnigione britannica di Pola. Lo freddò a colpi di pistola fuori dal portone del Governo Militare Alleato, in viale Carrara. In un suo documento, la Pasquinelli si riferì a Nazario Sauro e a Guglielmo Oberdan per giustificare il proprio gesto.

Il 20 marzo 1947 il piroscafo Toscana compì il suo ultimo viaggio, accompagnando le ultime partenze. Come previsto 28.000 dei 31.000 abitanti di Pola abbandonarono beni e proprietà piuttosto che divenire jugoslavi. Intanto nelle case rimaste vuote si installarono rapidamente nuovi abitanti sfollati dall'interno della Jugoslavia. Per altri sei mesi, 1.000 "operatori indispensabili" restarono ancora nella città deserta, in attesa del 15 settembre 1947, entrata in vigore del trattato di pace, quando l'abitato doveva venir ceduto definitivamente alla Jugoslavia. L'Arena di Pola terminò le pubblicazioni il 14 maggio 1947, qualche settimana dopo che una manifestazione di parecchie centinaia di filo-jugoslavi, divenuti ormai la maggioranza nella città, aveva minacciato la redazione. Il giornale si trasferì prima a Trieste e poi a Gorizia, venne spedito per posta ai pochi ultimi italiani rimasti e, successivamente, diventò settimanale.

Pola in Jugoslavia (1947-1991)

Alla data di entrata in vigore del trattato di pace, il 15 settembre 1947, il Governo Militare Alleato si trasferì con il piroscafo Pola a Trieste, e la città passò all'amministrazione Jugoslava. A Pola, ormai deserta, rimasero un pugno di italiani. Per il resto la città venne ripopolata da slavi provenienti da fuori, cambiando il nome ufficialmente in Pula. Molti con carri e povere masserizie percorsero l'intera Jugoslavia per raggiungere la città.

Pola in Croazia (1991)

Dal 1991, dopo la dissoluzione del regime jugoslavo, entrò a far parte della Repubblica croata. La situazione da allora è in gran parte migliorata, molte case e monumenti sono stati restaurati e negli ultimi tempi sono stati aperti nuovamente moderni caffè e negozi.

L'ultimo censimento del 2001, basato sull'uso della lingua, segnala una popolazione totale di 58.594 abitanti e indica che la maggioranza è di lingua croata con l'88.38% della popolazione (51.785 ab.), seguono minoranze etniche come: 2.856 di lingua italiana (4.87%), 983 di lingua serba (1.68%), 593 di lingua slovena (1.1%), 475 di lingua bosniaca (0.81%) oltre a minoranze meno rilevanti [1].

Altre fonti, tuttavia, indicano un numero d'italiani di almeno 5.850 persone, ossia 10% della popolazione totale[citazione necessaria]: la Comunità degli Italiani di Pola, che ha sede in via Carrara, nel centro storico, è il punto di ritrovo per tutti gli italiani del comune. La sede è stata purtroppo frequentemente e ripetutamente oggetto di vandalismi e tentativi di incendio, come lamentato in un'interpellanza parlamentare dal presidente dell'Unione Italiana, ed in alcuni casi, come a Parenzo e Rovigno, è stato bruciato il tricolore italiano.

Anche gli esuli da Pola hanno continuato a ritrovarsi ed hanno costituito un'associazione denominata Libero Comune di Pola in Esilio con un proprio Sindaco ed un proprio Consiglio comunale eletti con voto assembleare.

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